martedì 13 dicembre 2011

Pane, amore e fantasia


Avete presente quelle persone che mangiano senza freni e non ingrassano e se chiedi loro «Ma come fai a restare così in forma?» rispondono «I miracoli del metabolismo!»???
Ecco, io sono una di quelle persone. (Ma molto meno antipatica).
Ho con il cibo un rapporto senz’altro migliore di quello che ho con gli uomini: la scelta è più varia, se trovo quello che mi piace me lo compro e se proprio non mi va, sollevo il coperchio verde dell’umido e lo differenzio!
Al di là del piacere di assaggiare un buon piatto, ho per la cucina in generale un grande rispetto.
La considero un’arte, una forma d’espressione e, in un certo senso, un canale di distribuzione d’affetto.
Dovrebbero aggiungere una riga pure nel dizionario:
CUCINARE, verbo transitivo: «Preparare e cuocere le vivande dimostrando il proprio amore a chi le mangerà (quindi ad altri come a se stessi!)».

Penserete che ho assunto qualche sostanza stasera, ma non è così.

Vi dimostrerò che quel che dico è vero: io ho visto cucinare con amore!

Per esempio, la mia bisnonna Olinda – una donna che dai suoi quattro figli si faceva dare del “voi” – mi svegliava la domenica mattina con la crema al limone calda: ne lasciava una tazzina solo per me e utilizzava l’altra per farcire la zuppa inglese. 
Oppure il signor Ermes, cuoco di un Hotel di Riccione che frequentavo da piccola, che preparava ogni giorno un buffet chilometrico (di cui ricordo ancora il profumo, oltre che il sapore) per i suoi clienti e li serviva con un sorriso sempre vivo e mai stanco. 
E la mia nonna Mary, che quando mi invita a pranzo dice sempre che ha preparato “giusto due cosine”, le quali “cosine” però risultano inspiegabilmente distribuite in sette tegami, tre pentole, una pirofila, cinque piatti e due teglie da forno!
Ma al di là di questi casi evidenti di cucina distributrice di amore, ce ne sono altri – meno eclatanti – che tuttavia non sono da meno. 
Ad esempio, mia mamma la ciaramicola – dolce umbro tipicamente pasquale – la propone per tutto l’anno solare e non solo a Pasqua, proprio per dimostrare il suo attaccamento alla famiglia (e neanche più glie se attacca, il dolce!). 
Oppure le signore straniere che si sono avvicendate per lavoro nella mia casa e che, intenzionate a sperimentare i piatti italiani, li hanno letteralmente “testati” sulla nostra pelle, lo hanno fatto per amore dell’integrazione e dello scambio interculturale (anche se della lasagna al ragù versione ucraina avrei fatto anche a meno…).

Eppure, dopo tutto questo ragionare sulla cucina come “modo di dare”, l’unica cosa che mi viene in mente è: …qualcuno ha notizie di Suor Germana???   

giovedì 1 dicembre 2011

Ho imparato che

  • ogni lasciata è persa (e qualche volta per fortuna);
  • chi fa da sé fa per tre (ma se questi «tre» davano una mano forse «sè» faceva prima);
  • non è tutto oro quel che luccica (molto probabilmente è uno Swarovski);
  • la fortuna gira (ma la mia rotazione si inceppa spesso);
  • se un uomo dice ad una donna «sei tutta la mia vita», è possibile che sia affetto da una malattia terminale che gli lascia al massimo 6 mesi;
  • nella botte piccola c’è il vino buono (ma di sicuro non te ce ubriachi);
  • l’essenziale è invisibile agli occhi (ma occhio ai pali della luce…);
  • ogni pentola ha il suo coperchio (e con Mondial Casa ce prendi anche la mountain bike con cambio shimano)
  • la risposta è dentro di te (solo che è sbagliata, Quelo docet!).

venerdì 25 novembre 2011

A te, che hai rubato la mia borsa...


Queste righe sono dedicate a te.
Solo ed esclusivamente a te che ieri sera hai rubato la mia borsa.
L’hai fatto bene, con destrezza, portandomela via da sotto gli occhi senza che neppure mi accorgessi.
C’è voluto un po’ perché il mio cervello perbene chiamasse il fatto con il giusto nome: “furto” e non “errore”. 
Lo so, sono antica, ho ancora il vizio della buona fede. 
E chi si trova in questa condizione, fatica sempre un po’ ad accorgersi della stronzaggine altrui.
Sì perché rubare una borsa di giovedì sera, in un Caffè del centro, dove tutti hanno l’apparenza di stare bene, anzi, pure meglio di te, beh è un gesto da STRONZI.
Bada bene, non è per i soldi (che comunque a guadagnarli un po’ ci vuole), non è per documenti e carte varie (che comunque a rifarli una mezza giornata tra uffici, file, numerini e impiegati insofferenti ce la devi considerare) e non è neanche per gli occhiali da vista con montatura nuova nuova (che comunque, pure quelli, fanno comodo se hai una miopia che non riconosci neppure tua madre ad un metro di distanza).

Non è per questo che ti considero uno/a stronzo/a.

Tu sei stronzo/a perché con la mia borsa di velluto nero ti sei portato/a via la foto di me da piccola sulle ginocchia di mia nonna, quella che avevo ritagliato malamente per farla entrare nella fessura interna del portafogli così da averla sempre con me.
Tu sei stronzo/a perché con la mia borsa ti sei portato/a via l’illusione di poter trascorrere una serata piacevole tra la gente senza dover sospettare di quella stessa gente.  

Perciò a te, che probabilmente non leggerai mai queste righe, io dedico tutto il mio disprezzo e la mia compassione.
E come avrebbe detto mia nonna (quella della foto): che i miei soldi (quelli che hai trovato nel portafogli) ti servano tutti ed unicamente per... le medicine!

venerdì 18 novembre 2011

I sogni son desideri (...ma siamo proprio sicuri?)




Ogni mio post, cari lettori, nasce da un riscontro reale pari al 100%.
Della serie, non c’è trucco non c’è inganno, credete a tutto ciò che trovate scritto qui!
Oggi parlerò di sogni.
I MIEI, naturalmente, che meritano di essere divulgati pubblicamente per la loro assurdità e che, per la medesima ragione, meriterebbero ancor di più di essere analizzati (da un medico BRAVO!).
Il primo sogno che vi racconterò è fresco fresco, partorito nella notte appena trascorsa.
Oggetto: lite spaventosa tra me e mio fratello Giulio.
Ora, tali tipologie di liti (spaventose, appunto) avvengono con cadenza quasi quotidiana. Ragion per cui ho avuto serie difficoltà ad accettare l’idea che fosse un sogno e non la realtà. L’ho capito però (obbligatoriamente) nel momento in cui ho provato una strana e crescente sensazione di dolore…
Infatti, nell’astrattezza dell’onirica dimensione, Giulio aveva pensato bene di sottrarmi il computer portatile (che oltre ai programmi di Microsoft, contiene TUTTA LA MIA VITA) e di incastrarlo in una fessura stretta e incurvata. Il computer, di conseguenza, aveva assunto una forma simile ad una banana e, naturalmente, aveva smesso di funzionare.
Io, evidentemente, non ho reagito bene ed ho iniziato ad urlare come Rocky Balboa quando grida Adrianaaaaaaaaaaaa e, al tempo stesso, ho pure iniziato a picchiarlo.
Ma la realtà prevale sempre sui sogni.
E l’ho capito quando ho visto (seppur con le palpebre ancora un po’ abbassate) che ciò contro cui stava sbattendo la mia mano non aveva esattamente la forma di mio fratello ma piuttosto quella del comodino accanto al letto (ed era pure di noce e con pericolosi spigoli appuntiti!).
(Comunque sia chiaro che Giulio le prende lo stesso, per principio. Per avermi disturbata anche nel sonno!).

mercoledì 2 novembre 2011

Il primo appuntamento non si scorda mai...



Un uomo e una donna, al loro primo appuntamento, hanno il dovere morale e sociale di giocarsi il tutto per tutto. Il dovere di mostrare il meglio di sé, costi quel che costi.
Nel piatto, l’affascinante persona e la fantastica personalità.
Il gioco comprende mosse calcolate, sottilmente lavorate nel dire e nel fare così da guadagnarsi, abilmente, la seconda chance.
Ciò premesso, mi sono divertita ad individuare una serie di gesti, parole, atteggiamenti che sembrano essere ricorrenti, puntuali e pressochè irrinunciabili (per me come per molti di voi, siate onesti!).

Al primo appuntamento TUTTI (senza distinzione di genere):
  • amano viaggiare in lungo e in largo. Ciò implica: rapida mappatura delle capitali europee visitate, dei mari del nord e dei deserti del sud; assoluta propensione per l’avventura; totale repellenza per le comodità scontate (NO crociera; NO villaggio all inclusive; NO tour operator; SI trattoria; SI pensioncina sperduta; SI voli low cost ecc…);
  • sono sostenitori convinti e garanti assoluti della libertà del partner quale principio fondante del rapporto di coppia (la gelosia??? Sentimento obsoleto!);
  • hanno avuto almeno una storia importante ed hanno rigorosamente lasciato loro;
  • amano il buon vino, la letteratura, il teatro, il sushi, la grammatica italiana, il cinema, la filosofia, le mostre, i musei e … odiano la TV (volgarissima);
  • hanno una carnagione olivastra naturale (la lampada fatta due ore prima è solo una casualità…).

Al primo appuntamento LUI (in particolare):
  • (in primis) ha lavato e lucidato l’auto così bene che ci ha ritrovato dentro addirittura le vecchie Lire;
  • non segue, anzi, ignora completamente il calcio (preferisce il tennis e/o il golf che non sono sport violenti);
  • svolge il lavoro più stancante, più stressante e di maggior responsabilità dell’elenco mondiale delle professioni (in confronto a lui, Barack Obama fa il part time).

Al primo appuntamento LEI (in particolare):
  • (in primis) ha acquistato una quantità di trucchi da far invidia ad un set cinematografico;
  • (in secundis) ha formulato, con il circolo delle amiche strette, almeno 7.598 ipotesi di abbigliamento e 4.320 pronostici sul pre e post serata;
  • è dolce e timidamente sorridente (mai più in futuro), indossa decoltè tacco 12 (che proporrà solo quella sera), ama cucinare (piatto forte, le tagliatelle fatte in casa).

La mia conclusione è: godetevi la perfezione del primo appuntamento (e non rovinatela con il secondo)!

giovedì 27 ottobre 2011

Pensavo fosse amore (e invece erano lettere)




Riprendo a scrivere sul blog, dopo diversi giorni di assenza, per affrontare l’argomento degli argomenti. 
Il più decantato da scrittori e poeti, il più celebrato da musicisti e registi. 
Quello che alcuni rincorrono e da cui, altri, sfuggono.
L’amore.
Qualcuno che non sia il signor Wikipedia o il signor Zanichelli sa darmi una definizione tangibile di “amore”? Un qualcosa, cioè, che vada oltre la spiegazione concettuale del sostantivo maschile e che si possa in qualche modo sfiorare anche solo con l’immaginazione?

Provo a rifletterci su…

AMORE: 5 lettere, 3 vocali, 2 consonanti.
Simboli dell’alfabeto che, concatenati, danno pure un bel suono, un suono dolce. Leggero.
Ma l’amore - quello dei sensi, quello che si svincola dal concetto - non sempre è dolce.
E non sempre è leggero.
Per qualcuno non esiste (tipo La Veros!), per qualcun altro diventa invece una ragione di vita ("l'innamorato dell’amore”).
Io vedo il tutto da una prospettiva “centrale” che mi ha consentito di elaborare una teoria molto personale e molto discutibile.
La esporrò analizzando ogni singola lettera della parola A.M.O.R.E. e dando ad essa un significato.

A. Allettante l’idea delle anime gemelle, che si trovano senza cercarsi, ma un pochino troppo poetica.
M. Meglio pensare all’immagine di un tavolo riservato al ristorante. Si può arrivare in anticipo e il tavolo è ancora senza tovaglia; ci si può dimenticare di averlo prenotato e il tavolo è perso; si può arrivare in ritardo e il tavolo è già occupato da altri.
O. Oppure si può arrivare in orario perfetto e il tavolo riservato è quello migliore, lontano dagli odori della cucina, dagli spifferi della porta d’ingresso, dalle gomitate maldestre del cameriere e vicino alla finestra (quella affacciata sul panorama, naturalmente).
R. Resta il fatto che per ognuno è differente. E che è tutta una questione di piccoli incastri e di imprevedibili circostanze.
E. E di intuizioni. Intuizioni coraggiose.



giovedì 13 ottobre 2011

That's Life!



Succedono cose nella vita che non ti spieghi. 
E che non ti aspetti.

A titolo esemplificativo, racconterò una breve storia (ogni riferimento a fatti, luoghi e persone è puramente casuale!).

Incontri nel periodo adolescenziale (quello con l’acne giovanile, l’abbigliamento stravagante, le frasi esistenziali di Jim Morrison tra le pagine del diario) una persona che diventa la tua migliore amica, quella che senti al telefono ventitre volte al giorno, a cui racconti qualsiasi cosa (compreso il numero quotidiano di lavaggi dentali), con la quale trascorri interi pomeriggi a studiare, con cui programmi le vacanze e i fine settimana in discoteca.
Poi, più o meno all’improvviso, le circostanze della vita spostano geograficamente questo piccolo ma importante “punto di riferimento umano”: e tu ti trovi a doverne fare a meno e a dover ridimensionare le tue giornate, le cose da fare, i viaggi da organizzare, le persone da frequentare.
Gli anni passano, i ricordi sfumano i loro contorni, i lineamenti fisici si trasformano leggermente.
Ma in una domenica invernale qualunque, quella persona attraversa la tua stessa strada (come aveva già fatto anni prima).

Ed ogni distanza sembra improvvisamente accorciata.
E nulla sembra cambiato.

Morale della storia?
Non esistono cose impossibili, situazioni irrimediabili, esperienze  irreversibili.
Esistono errori che si riparano, sensazioni che si conservano e legami che si difendono da soli, anche contro la nostra stessa volontà.

giovedì 6 ottobre 2011

La Grande Mela



Steve Jobs
Un visionario, un filosofo, un mentore, un appiglio per le speranze vacillanti delle nuove generazioni. 
Talento e capacità di osare.
Uno che a 30 anni aveva già tra le mani qualcosa che avrebbe cambiato il mondo.
Senza laurea e senza master ma con una testa pensante.
A Jobs ognuno di noi deve qualcosa
Ognuno, anche chi non sa neppure cosa sia un iPhone, un Mac o un iPad perché ognuno ha ricevuto da lui la possibilità di credere che un’idea rivoluzionaria può essere sostenuta e realizzata.
Jobs non ha semplicemente creato costosi prodotti tecnologici, Jobs ha fatto molto di più: ha scommesso sul futuro in un tempo in cui tutti sono arenati nella mediocrità del presente.
Ha pensato, costruito e lasciato qualcosa a tutti noi.

Ai giovani di Stanford (ma più in generale a tutti i giovani del mondo), nel 2005 ha lasciato queste parole:

(…) Dovete trovare quel che amate.
E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro.
E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate.
Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare.
Non accontentatevi.
 
(…) Il vostro tempo è limitato perciò non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro.
Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone.
Non lasciate che il ruomore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore.
E cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare.
Tutto il resto è secondario.
Siate affamati. Siate folli.


martedì 27 settembre 2011

L'importante è la salute!



Si chiama RNA. È il virus che genera l’influenza e che ha già costretto a letto circa 60.000 italiani. Non per manie di protagonismo ma la numero 59.999 sarei io, modestamente!

Crescendo (nota bene: “crescendo” e non “invecchiando”), ho capito di essere particolarmente simpatica alle malattie infettive, quelle cioè che basta una stretta di mano o un colpo di tosse di uno sconosciuto che zac, ti si attaccano addosso come le figurine sull’album dei calciatori!
E pensare che in 13 anni di scuola dell’obbligo, sarò rimasta a casa con la febbre sì e no 3 volte (naturalmente le volte in questione cadevano o in giorni festivi, o di vacanza o di “scuola chiusa causa neve”…).
Da qualche anno a questa parte, invece, se il mio organismo incontra un virus non si difende ma anzi ci fa amicizia, lo ospita piacevolmente! E mi pare quasi di vederlo mentre fa accomodare le particelle “in casa” e un po’ ne sistema lungo il tratto respiratorio, altre nei muscoli, altre ancora nella testa.
E tutti felici e contenti mentre io mi imbottisco di pasticche, inalo spray di ogni genere e consumo chilometri di fazzolettini per il naso.
Senza considerare che io – mi devasta doverlo ammettere – quando sono malata assumo il comportamento tipico di un uomo: espressione sofferente da cane bastonato, allarmismo da linea del termometro sopra i 37.2°, capacità di movimento limitata ai passaggi fondamentali “letto-comodino-divano e divano-comodino-letto”.

Nonostante lo scenario apocalittico, devo riconoscere però che restare a letto con la febbre ha anche qualche piccolo vantaggio…
Innanzitutto ci si riposa e poi, grazie alla compagnia fedele della TV, si acquisiscono nozioni di importanza quasi “vitale”: dal prezzo delle melanzane al modo migliore per cucinare lo stoccafisso; dalla situazione sentimentale di Ridge Forrester a quella di Valeria Marini e Gabriel Garko; dalla lite tra condomini di Forum alle più acute teorie degli opinionisti prestati alla criminologia sui principali casi di cronaca nera. E via dicendo…

Tutto ciò premesso, una domanda sorge spontanea: se io sono già a terra a fine settembre a causa di una banalissima forma parainfluenzale, come starò tra un paio di mesi quando dall’emisfero sud arriveranno (in vacanza) i virus dell’influenza quella VERA???

(L’Elisina ha già risposto: fa’ ‘n saltino a Lourdes, cocca mia!)

lunedì 19 settembre 2011

I prescelti


La parola “lavoro” è forse quella che pronunciamo più volte al giorno.
Cosa fai oggi? Lavoro. Odio il lunedì perché ricomincia il lavoro. Mi sono appena laureato e devo trovare un lavoro eccetera eccetera.
C’è chi vive per lavorare e chi lavora per vivere. 
Chi fa il lavoro dei propri sogni e chi sogna di cambiarlo.
Chi un lavoro lo cerca e chi un lavoro non lo trova.

E poi ci sono loro: i prescelti.
Sì perché, a parer mio, ci sono persone che scelgono un lavoro e lavori che scelgono persone.
I primi dieci nomi che mi vengono in mente…

Michelangelo Merisi (Caravaggio), pittore
Anna Marchesini, attrice
Renzo Piano, architetto
Steve Jobs, cofondatore di Apple
Oriana Fallaci, scrittrice e giornalista
Ennio Morricone, compositore
Mina, cantante
Michele Ferrero, fondatore Ferrero e inventore della “Nutella”
Vittorio De Sica, regista
Madre Teresa di Calcutta, produttrice di umanità

giovedì 15 settembre 2011

Secondo banco, fila centrale



Sarà che è da poco ricominciata la scuola (non per me ma per migliaia di studenti italiani), sarà che stamattina ho casualmente incontrato una mia ex professoressa del liceo classico (che non vedevo da anni e che – temo – mi abbia confusa con una dello scientifico), sarà qualcos’altro ma io, oggi, avverto una certa nostalgia del passato…

E allora “posto” sul blog (senti che slang!!).

Per molte persone (ormai adulte) i ricordi scolastici sono tutt’altro che “bei ricordi”: sono, anzi, esperienze traumatiche con tendenza a divenire incubi notturni ricorrenti (la psicologia è dentro di me).

Al contrario, se io potessi, tornerei volentieri a sedermi in quel secondo banco, fila centrale, del liceo Annibale Mariotti (posizione che consiglio alle nuove leve: né troppo in vista né troppo nascosta, ti protegge da qualsiasi interrogazione). 
Ammetto di essere stata una studentessa “quasi modello”: facevo sempre i compiti, seguivo le lezioni, nessuna “salina” e raramente aderivo a scioperi o manifestazioni (una sorta di Vice Ministro dell’Istruzione!). E i miei compagni altrettanto bravi!
Però mi divertivo!
Mi divertivo a fare le imitazioni direttamente dalla cattedra (credo nessun professore, allievo, bidello, supplente sia riuscito a sfuggirmi); mi divertivo a rubare il panino super-farcito di Matteo (che batteva il mio pacchetto di crackers 10 a 0); mi divertivo a scrivere frasi sulla vita, sull’amicizia e sui ragazzi nel diario di Francesca (la mia compagna di banco & migliore amica); mi divertivo a dare nozioni geopolitiche su Ponte Pattoli ai miei compagni “di città” (es. anche noi prima o poi avremo un sindaco e un presidente di Provincia; anche noi prima o poi avremo centri commerciali e catene d’albergo; anche noi prima o poi diventeremo una super potenza economica mondiale ecc...).

Insomma, sarà che avevo capito che la scuola non è un obbligo ma un regalo per giovani fortunati e l’anticamera delle responsabilità, ma sta di fatto che a me un pochino manca e qualche mattina, anche solo per sbaglio, quel portone altissimo del liceo Mariotti vorrei proprio superarlo.

domenica 11 settembre 2011

Somewhere over the rainbow

Dieci anni dopo.
Quell’11 settembre me lo ricordo, l’immagine è perfettamente nitida davanti ai miei occhi.
Io al telefono di casa, seduta sul letto. Davanti a me la tv accesa, i programmi interrotti bruscamente, una delle Torri Gemelle gonfia di fumo nero.
Impossibile capire. Impossibile anche solo immaginare.
Poi un minuscolo aereo sul fondo azzurro dell’inquadratura si infila nell’altra Torre.
Le voci dei giornalisti agitate, confuse. 
Le ipotesi, le domande, le pause, i silenzi.
C’è voluto del tempo per riuscire ad interpretare quella scena allucinante eppure così potente, così incredibilmente reale.
Un giorno di storia, la storia quella vera, quella che esce dai libri ed entra nella vita delle persone, cambiandone la direzione, le abitudini, i punti di vista, le paure.

Quell’11 settembre mi sono sentita una piccola parte del mondo.
Un mondo fragile come un foglio di carta strappato.


martedì 6 settembre 2011

Quando la lampadina NON si accende...



CONCETTO DI PARTENZA: l’intuito è uno dei più bei regali che la natura possa fare ad un essere umano. Con l’intuito puoi prevedere la realtà un attimo prima del suo verificarsi, puoi elaborare più velocemente i dati a tua disposizione ed avere maggiori possibilità  di prendere la decisione giusta anziché quella sbagliata.
In parole povere: con l’intuito capisci prima e capisci (quasi sempre) bene.

CONCETTO INTERMEDIO: io non sono una persona particolarmente intuitiva.

È mia abitudine giustificare ogni affermazione attraverso esempi probanti (del resto, sono o non sono avvocato?!)

Primo esempio: il super regalo.
(Anni fa) Natale in arrivo e qualche indizio trapelato dalla bocca di papà…
I dati a mia disposizione erano: “ti sarà molto utile; l’ho ordinato con largo anticipo; ci si sta in due al massimo; mi ringrazierai tantissimo”.
Facile, mi son detta, è la Smart!!!
Non esattamente!
Il super regalo paterno era una fantastica trapunta matrimoniale in piuma d’oca 100% con doppia cucitura ai bordi!
Secondo esempio: la super proposta.
Domenica invernale con il solito gruppo di amici…
I dati a mia disposizione erano: “Si va tutti sulla neve per una ciaspolata in compagnia; costa solo 15 euro; baita già prenotata”.
Ho fatto due+due e, mi son detta, vuoi vedere che ‘ste ciaspole si mangiano? E me le immaginavo a forma di ciambella, con un po’ di uvetta e ricoperte di zucchero a velo…Ottimo, per 15 euro conviene pure!!
Non esattamente!
Mi son ritrovata in cima ad un monte, affondata nella neve fresca, con racchette ai piedi e bastoni in mano (e senza ciambelle naturalmente)!
Terzo esempio: il super uomo.
Ahimè, situazione capitata più d’una volta…
I dati a mia disposizione erano: “Apparentemente dotato di cervello (che già un minimo dubbio ti dovrebbe venire); capace di formulare un discorso in lingua italiana; divertente ed estroverso”.
Wow, mi son detta, vuoi vedere che ho trovato marito??!!
Non esattamente!
Il super uomo è già il marito di qualcun’altra che “si è svegliata” un attimino prima di me!

CONCETTO FINALE: se pensi - come me - che per allenare l’intuito sia necessario chiudersi in casa a guardare tutte (ma proprio tutte) le puntate di CSI e Jessica Fletcher, ti sbagli.
Spegni la TV e fatti una passeggiata…

venerdì 26 agosto 2011

Il Bello & la Bestia: the real story...



Questo post è ispirato ad una storia vera (la mia, come sempre!).

Frequentavo ancora l’università ed ero barricata in casa per preparare l’esame di Diritto commerciale (così tanto impegnativo che l’unico esame che ti consigliano dopo è quello…del sangue!). Umore a terra, pila di libri sul tavolo, tapparelle abbassate e abbigliamento “comodo”. 
Praticamente, una scena da film horror!
Senza alcuna vergogna, voglio puntualizzare cosa intendo esattamente per (mio) abbigliamento “comodo”:
  • t-shirt “Grifonissima 1998” (i perugini la conoscono bene…);
  • pantalone ampio color celeste pastello (del pigiamone, naturalmente);
  • infradito fluorescente;
  • e per finire, super pinza metallizzata aggrappata ai capelli (il vero tocco di classe!).

Cioè, della serie “so’ arrivati gli alieni!

Ovviamente io (l’alieno) mai e poi mai avrei potuto immaginare di ricevere, proprio quella mattina, la visita del fisioterapista di mia nonna.
E, soprattutto, non conoscendolo, mai e poi mai avrei potuto immaginare che il medesimo fisioterapista avesse proprio quell’aspetto…

lunedì 22 agosto 2011

Io, genio incompreso dell'Hi-Tech



Io e la tecnologia: una cosa sola.
Nel senso: o io o la tecnologia.
Chiariamo subito, si tratta solo di piccole incomprensioni, di minimi fraintendimenti. Nulla che faccia anche solo lontanamente ipotizzare che io possa essere una FRANA TOTALE con computer, telefoni, fotocamere et similia.
Semplicemente, a volte non ci capiamo, non usiamo gli stessi codici.
In fondo io sono nata negli anni ‘80, quando il top del top della tecnologia poteva essere rappresentato da un paio di walkie talkie o – a voler esagerare – dalla Villa di Barbie con ascensore interno!! 
Ora, invece, la nostra vita è delicatamente appesa ad un filo virtuale chiamato internet, raggomitolato dentro una scatoletta chiamata computer: la posta si spedisce con un click del mouse; il lavoro si misura in giga; le malattie si curano con google; le foto si raccolgono nei social-album; le strade si percorrono grazie all’App dell’IPhone; i libri si leggono dal tablet eccetera eccetera.
È un problema di linguaggio, tutto qua!
Se, per esempio, mi dicono “Il tuo pc ha un brutto virus”, io mi sento legittimata a pensare che accenderlo sia particolarmente rischioso (considerato che io sono pure abbastanza cagionevole!). Oppure, se mi dicono “Tu con che motore navighi: Google o Yahoo?”, io mi sento legittimata a pensare che senza ‘no straccio di barca oggi non sei veramente nessuno!
E allora mi son dovuta adeguare. Ho cestinato penne, agende, rubriche e fogli di carta (esiste ancora questo arcaico materiale???) ed inserito tutto nel mio modernissimo smartphone!

C’è un solo problema…l’ho perso!




martedì 16 agosto 2011

Che mondo sarebbe senza...L'Elisina! (Part 2)




Dopo "La Veros" (di cui vi ho già parlato in precedenza), ho il dovere di menzionare un’altra delle mie storiche amiche: L’Elisina.
Certo, L’Elisina è più facile imitarla che raccontarla considerato che ciò che veramente la caratterizza non è tanto quello che dice, ma il tono di voce con cui lo dice e, soprattutto, il movimento di viso&corpo che abbina ad ogni sua “perla”.
Sì perché L’Elisina, ogni volta che apre la bocca, non tira fuori dei “concetti” ma dei veri e propri “gioielli”…

Per consentire a tutti (specialmente ai lettori che provengono da zone non proprio confinanti con la media valle del Tevere) di comprenderne esattamente il significato, fornirò una efficace e puntuale traduzione di ogni sua frase di seguito elencata (una roba tipo Google Translator).

“Si ‘n ce vedi mett’i occhiali più doppi” (Se hai dei problemi alla vista, sarà bene che controlli la gradazione delle tue lenti);

Rivolgendosi a me: “Famme capì, tu stè a tre metri sul livello del Tevere e ‘n sé che èn le nutrie?? Amazzete!!” (Chiara, ma davvero non conosci quegli strani animaletti che vivono lungo le rive del fiume Tevere, nei pressi del quale si trova la tua abitazione?? Informati il prima possibile!!);

“Ieri sera m’han magnato i tafani” (Ieri sera, mentre mi godevo una serata all’aria aperta, sono stata punta da numerose zanzare);

Elisina scrive dall’India: “Di qui è tutto sacro, anche la cacca dei piccioni…ecco perché non l’arcolgono! Non posso manco da’ na manata alle vespe che me vengono addosso, chè la guida me guarda brutto! Ah gin’ bene…” (In India tutto ha un valore sacro, dagli escrementi agli insetti. La guida che ci accompagna è molto gentile e sorridente. Wow, mi trovo veramente bene!);

Elisina in una discoteca affollata, ad un tipo che per errore le dà una spinta: “Brutto ‘mbecille, se disgraziatamente m’artocchi te sguasto” (Ehi non ti preoccupare, non mi son fatta nulla! Ma se riesci a fare più attenzione ne sarei davvero felice. Al di là di tutto è stato un piacere!).

…E potrei continuare per ore ed ore! 
L’Elisina è un personaggio, ve lo posso garantire. So che “mi stira e mi ammira” ed io faccio lo stesso con lei. 
È divertente, diretta e originale…e un mondo senza Elisina?? Noiosissimo!!

mercoledì 10 agosto 2011

Chiamate pure il WWF




Ferma al semaforo.
Davanti a me una piccola utilitaria. Sul vetro del lunotto posteriore un adesivo bello grande con scritto “CANE A BORDO”.

Io ‘ste cose ‘n le concepisco (lo scrivo in perugino per esprimere meglio il disappunto).

Sia chiaro, non che io abbia qualcosa contro gli animali (ho avuto uno dei cani più intelligenti del pianeta e l’ho amato quasi come un figlio).
Io ce l’ho piuttosto con le esagerazioni di certi padroni.
Già mi pare eccessiva la scritta “bimbo a bordo”, figuriamoci quella riferita alla neonata bestiolina.
Io fatico proprio ad afferrarne il senso.
In sostanza, è come dire agli automobilisti: “fate attenzione alle auto con bimbo o cane, ma se ne incrociate una con dentro un tipo di sana e robusta costituzione… ingranate la quinta ed abbattetela, come se foste sulle macchinine del Getton Box!”
Ecco, io scommetto che ad un cane l’idea degli adesivi “on board” non sarebbe mai venuta in mente!

Sicuramente non al mio, che in testa aveva tutt’altri pensieri…

Pur essendo femmina (ce ne siamo accorti solo quando ha generato un bel quartetto di cuccioli), il mio cane si chiamava “Rischio” (il perché di questa triste scelta resta ancora un mistero).
Magra come uno stecchino, con il pelo nero, qualche macchia bianca ed il muso appuntito: insomma, bruttina ma simpatica!
Ebbene, dopo anni di coccole, crocchette e costose lozioni anti-zecche, Rischio (la meticcia)  si è presa una super cotta per un pastore maremmano e con lui se n’è andata. 
Senza più fare ritorno!

E questo non è un cane intelligente???
Di più!  È da guinnes dei primati!
Rischio è, infatti, il primo cane al mondo che abbandona la propria padrona per amore!


lunedì 1 agosto 2011

BE DIFFERENT (o quantomeno provaci)




Questo post nasce da alcune riflessioni notturne. 
Le più pericolose in assoluto!
Lo scrive anche la Mazzantini nel suo ultimo libro: “...la notte è la notte e il giorno è il giorno”.
Dunque, a sole ormai calato, mi son ritrovata a pensare a me, al mio essere – da sempre – un soggetto un po’ particolare. Un soggetto allergico alle omologazioni, al “così fan tutti quindi anch’io”, al “piace a loro quindi anche a me”.
Io mi sono sempre dovuta distinguere, non per essere migliore o peggiore degli altri né per suscitare paragoni, ma più semplicemente per sentirmi comoda in quello che ero. E in quello che sono.
Come si fa con una mappa, ho individuato e barrato con una x i punti deboli del mio fisico e del mio carattere ed ho iniziato a lavorarci sopra, con pazienza e precisione, come fanno gli artigiani.
Per gli altri erano “difetti”, per me “caratteristiche”.
Per gli altri andavano “eliminati”, per me “valorizzati”.
Dunque ho iniziato così, trasformando i miei punti deboli in punti di forza, trovandone gli aspetti positivi, rendendoli fonte preziosa di opportunità, cogliendone solo ed esclusivamente i numerosissimi vantaggi

lunedì 25 luglio 2011

Pezzi da 90



Non sapevo fosse morta.
Ieri accendo il pc, mi collego alla rete e mi compare lei in primo piano, con i tatuaggi, la magrezza, l’acconciatura inconfondibile, l’ombretto nero allungato fin quasi alle tempie. Accanto una scritta nera in grassetto (in Times New Roman, il più meccanico): “Morta la cantante Amy Winehouse”.

È vero, la settimana ha partorito notizie decisamente più feroci, basti pensare a quel folle che in Norvegia (l’esemplare Norvegia) ha fatto fuori un’ottantina di poveri disgraziati, tutto da solo e in meno di un pomeriggio.
Però a me quell’annuncio di morte della Winehouse ha fatto un certo effetto, mi è rimbalzato in pancia, come rimbalzano ora tutti i commenti, le ipotesi, le congetture. Tutti devono capire se in casa era sola, se i manager hanno responsabilità, se il mix di sostanze che l’ha stroncata aveva in percentuale più eroina o cocaina.
Quello che, invece, cerco di capire io è come diavolo sia possibile che una ragazza inglese di 27 anni, dal talento soprannaturale, dalle corde vocali toccate da Dio e dal successo planetario, abbia fatto e disfatto tutto da sé. Esseri umani così naturalmente dotati sono una rarità e, un po’ come l’eclissi, saltano fuori solo in casi eccezionali e dopo chissà quanti anni solari.

Un vero peccato.
Seppur con tutti i suoi eccessi, io Amy l’adoravo e il suo nuovo album l’avrei di certo comprato.
Un talento disperso, "un’anima fragile".

lunedì 18 luglio 2011

Annuncio ai radioascoltatori

Amici radioascoltatori,
il mio programma, in onda ogni sabato mattina su Umbria Radio, è terminato.

So che molti di voi – disperati all’idea di non poter più sentire la mia voce (quella un po’ “a macchinetta”, come ha acutamente osservato mio fratello) – hanno già sottoscritto petizioni, tentato gesti inconsulti, indetto manifestazioni di protesta, minacciato lo sciopero della fame.

Vi capisco ma tenete duro…prima o poi tornerò, me lo sento!

UmbriaRadio Live: Some photos...






Ironia a parte, GRAZIE a tutto lo staff di Umbria Radio Live: esperienza fantastica!





lunedì 11 luglio 2011

A A Abbronzatissima!


Io ho un nemico: il sole.
L’ho scoperto che ero piccolissima, quando d’estate andavo al mare con mia mamma ed il principale obiettivo era trovare un cono d’ombra per me, sotto il quale piazzarmi per procedere ad una operazione mirata di camuffamento/mimetizzazione della mia persona (in stile forze speciali americane prima delle missioni).
Ebbene - una volta raggiunto l’ombrellone - mentre la sottoscritta veniva sottoposta al primo strato di crema solare, tutti gli altri bimbi avevano già scavato tunnel paragonabili al Traforo del Monte Bianco, realizzato piste per le biglie da far invidia all’autodromo di Monza ed avevano anche fatto un paio di tuffi in mare.
Al mio secondo strato di crema solare, gli stessi bimbi avevano già fatto merenda con i gelati del carrettino ambulante, si erano già asciugati pelle e capelli ed avevano pure acquistato i braccialetti colorati della fortuna.
Al mio terzo strato di crema solare, i medesimi bimbi erano già pronti per tornare nelle piscine dei loro hotel.
Io, in compenso, somigliante più ad una scaloppina infarinata che ad un essere umano, ero pronta per giocare…da sola!
Tuttavia, il mio carnato pallido (cadaverico, a voler essere proprio onesta) è sempre stato al centro dell’attenzione della gente: oggetto di battute, prese in giro, storie divertenti che si ripetono con precisione algebrica ogni estate.
Ed io non mi offendo, anzi, mi concedo volentieri perché in fondo mi sento pure un pochino utile alla collettività. 
Lo dimostrerò con alcuni rapidi esempi:
  • il mio braccio è ormai un punto di riferimento per il controllo del livello di abbronzatura altrui;
  • il colore della mia pelle è motivo di profondo sollievo per chi in vacanza becca la pioggia e non può esporsi al sole (vedi, lei nonostante tutto è più bianca di me…);
  • quando mi scotto tutti possono ridere a crepapelle e tentare di indovinare il numero esatto di punture al cortisone che dovrò fare;
  • il mio carnato, unito alla mia chioma rossa, consente a molti di ripassare la geografia (almeno un milione di volte, alla domanda “Hai origini scandinave?” ho dovuto rispondere “No, nata e cresciuta a Ponte Pattoli!”).

Ciò nonostante - ed incurante delle frasi allarmanti che mi sento ripetere sin da bambina (il sole ti fa male, con te è cattivo, devi stare attenta, devi proteggerti eccetera eccetera) - io del sole non ho affatto paura, ed anzi, cerco in ogni modo di dimostrargli il mio affetto e la mia totale devozione.
Mi è capitato, ad esempio, di arrivare in Sardegna sotto il sole africano di mezzogiorno con una protezione n. 6 (rischiando un'ustione di secondo grado e l’arrivo dei vigili del fuoco per spegnermi); oppure di decidere - in modo del tutto arbitrario – di eliminare completamente la crema in certe parti del corpo chè tanto lì il sole mi schiva (parti che, naturalmente, la sera stessa sono color fucsia tendende all’esplosione…con un effetto estetico davvero eccezionale).

Ma non importa, io non mi arrendo!
Anche in questa estate 2011 sarò in prima linea sotto il sole, con il mio telo a strisce, il due pezzi nuovo, lo spruzzino dell’acqua, un buon libro da leggere…e sicuramente pioverà!

martedì 5 luglio 2011

La porti un bacione a Firenze...


Una cara amica si è laureata ieri a Firenze in Giurisprudenza italo-francese. Si chiama Laura, ha girato mezzo mondo, parla più lingue di una hostess di terra ed ha un cervello che ne vale almeno tre (di quelli “buoni”, naturalmente). La cito volentieri, le persone in gamba hanno l’obbligo di essere menzionate pubblicamente.
Dunque, come già detto, ho trascorso un bel lunedì in quel di Firenze.
Ah Firenze, Firenze… lè veramente una città ganza… Ci vado sempre volentieri!
Città elegante, ricca di fascino, suggestiva in ogni minimo angolo. Un tantino trafficata nelle ore di punta ma, del resto, quale città italiana non lo è (alle sei di sera anche a Ponte San Giovanni rischi di restare bloccato per ore tra le auto in coda! Ma vogliamo mettere?!).
E poi a Firenze si mangia troppo bene!
E infatti dopo applausi, brindisi, foto, abbracci, mazzi di fiori e corone d’alloro, tutti a cena sul Lungarno! 
Per la stessa logica di cui sopra, ovvero citare ciò che merita d’esser citato, vi dirò che siamo stati all’Antico Ristoro Di’ Cambi (www.anticoristorodicambi.it).
Esattamente il genere di posto che piace a me: prosciutti appesi, cantina selezionatissima, odori forti, sgabelli e tavoli senza tovaglie, affreschi e oggetti d’epoca. La trattoria quella vera, quella in perfetto stile anni ’50 e curata in ogni suo più piccolo dettaglio, dove ogni oggetto (dalla tazzina al bicchiere) richiama il passato pur nella realtà del presente. Solo in questo genere di posti puoi mangiare salumi affettati da mani esperte, pappa al pomodoro e penne al ragù di cinghiale, fiorentina servita su taglieri enormi e dolci con crema calda (fatta al momento!).
Questo non è un post “promozionale”, sia chiaro.
Queste righe perché mentre tornavo a Perugia (un po’ assonnata e leggermente appesantita!), con la fronte schiacciata sul finestrino della macchina, pensavo a tutta la clientela straniera che affollava il ristorante (giapponesi, americani, svedesi, tedeschi…). Pensavo alle loro espressioni inebetite mentre i piatti gli scivolavano rapidi sotto gli occhi meravigliati. Pensavo a come fanno ad andarsene dall'Italia sapendo di dover rientrare nelle loro cucine speziate e improvvisate. 
Pensavo a quanto siamo fortunati noi italiani che abbiamo il meglio di tutto e non lo diciamo mai, non lo difendiamo mai, non lo esaltiamo mai. Pensavo che è il caso di smetterla con la storia che in Italia tutto fa schifo, tutto va a rotoli, tutto è agli ultimi posti di chissà quale classifica, tutto va male e che tutti – in Europa e nel mondo – sono meglio di noi!

“In Italia si vive bene!" 
Se dovessi ideare uno slogan, il mio sarebbe questo.

lunedì 27 giugno 2011

Mio fratello è figlio unico



Degli anni trascorsi alla scuola elementare ho due ricordi particolarmente nitidi: la felicità di far merenda con la pizza alla mortadella (ho sempre avuto un palato soft) e la tristezza di non avere né un fratello né una sorella.
Quando la maestra ci assegnava il compito “disegna la tua famiglia”, i miei compagni riempivano il foglio con tanta di quella gente che pareva avessero in casa una manifestazione sindacale; nella mia carta F4, invece, eravamo sempre e solo in 3! E allora io aggiungevo case, palazzi, alberi, nuvole, strade, tanto che più che un ritratto di famiglia il mio sembrava un vero e proprio progetto per la pianificazione urbanistica.
Poi, alla scuola media, finalmente la lieta notizia: un fratellino in arrivo anche per me!
Non potete capire la gioia!
Come se il “fratellino” fosse un accessorio da mostrare alla gente, una parola di cui riempirsi la bocca, un giocattolino da usare nel tempo libero. 
Ce lo dovevi avere per forza, il "fratellino", altrimenti non eri come gli altri. Eri, come dire, un po’ di serie B.

Ma – ce lo insegna il proverbio – non è tutto oro quel che luccica…

E infatti, dopo questa prima fase di grande euforia, giunsero i primi strani ed – allora - incomprensibili segnali.
Preciso: io sono assolutamente convinta che ogni avvenimento capace di incidere sull’esistenza di una persona, sia in un modo o nell’altro anticipato, introdotto, avvisato da qualcosa…
Io sono stata avvisata così.

martedì 21 giugno 2011

Orientamento sì, ma in che senso?



Orientamento: insieme delle tecniche che permettono di riconoscere la propria posizione relativa all’interno di un terreno non noto, in genere individuando la direzione del Nord (così Wikipedia).

Dunque si tratta di un’arte, di una vera e propria abilità, qualcosa che non si improvvisa ma che si apprende e si approfondisce con l’esperienza. E poi il concetto di orientamento è assolutamente versatile, adattabile ad un numero esagerato di contesti.
Ci si può orientare (o non orientare) al centro di una piazza, tra le vie di una città, nel bel mezzo di un incrocio, nel mare aperto o in cima ad una montagna. 
Ci si può orientare (o non orientare) nella scelta di un regalo, nella stima di un prezzo, nella valutazione di una persona, nel calcolare un peso o una distanza.
Insomma, ci si può orientare (o non orientare) nella vita in generale.

Scrivere questo post perché?

First of all, perché l’ho promesso alla mia “socia in affari/serate/viaggi/pranzi&cene Silvietta” dopo che – per l’ennesima volta – ci siamo perse con la sua “simil Ferrari” (una Fiat 500 che spinge più del Freccia Rossa): se esistesse un master di primo livello sulle tecniche dell’orientamento stradale, io e lei saremmo tra le prime iscritte ed avremmo pure diritto ad una borsa di studio.
Secondly, perché da un po’ di tempo a questa parte, nella mia vita son successe cose strane, inaspettate e tali da spostare più di un confine sulla cartina topografica della mia esistenza. Per capirci: è come se per anni avessi condotto ogni mio movimento con una bussola in mano e poi, all’improvviso, questa bussola si fosse rotta. 
A quel punto cosa fai: o smetti di camminare o cominci ad esplorare.
Ho scelto di esplorare, grazie a Dio.
E da allora ho spesso confuso il nord con il sud, ho imboccato qualche strada sconnessa e mal ridotta, ho inciampato in un paio di buche e smarrito qualche oggetto importante.
Da allora, però, ho incontrato persone che mai avrei cercato ed ottenuto cose che mai avrei pensato.
In questo orientamento privo di senso ho scoperto che perdersi non è niente male e che le dimensioni reali delle cose belle sono, quasi sempre, fuori dai nostri piani e dalle nostre mappe.

In fondo lo prevede anche Totti  nella pubblicità della Vodafone: Ognuno troverà la sua strada...

lunedì 13 giugno 2011

Acciaio

Stavo guardando una di quelle rubriche del telegiornale dedicate ai libri.
Parlavano di una certa Silvia Avallone, autrice giovanissima che con il suo romanzo d’esordio aveva guadagnato il secondo posto al Premio Strega 2010.
Acciaio, il titolo del libro.
Bello questo titolo - mi son detta - e poi sarà, ma a me il “secondo posto” suscita interesse a prescindere.

Acciaio è una storia. 
Una storia potente e penetrante, raccontata come piace a me.
Quando leggi un libro e ti immagini tutto, quando riesci a vedere i personaggi e i loro corpi, quando sei pure capace di riconoscerne la voce, quando ti immedesimi nei loro difetti e ti perdi nelle loro emozioni, quando ti succede questo vuol dire che le parole non sono tutte uguali e che alcuni sanno mescolarle meglio di altri.



Nella mail che ho scritto a Silvia dicevo: “…l’ho trovato semplicemente meraviglioso, a tratti geniale. Una scrittura dura e dolce insieme. Un miscuglio di sentimenti che mi hanno letteralmente attraversata. Complimenti.”




mercoledì 8 giugno 2011

L'Afrique c'est chic

La bella vita con l’esperienza che segna il volto
Le mani libere, in tasca il giusto e nel cuore molto
La bella vita senza il delirio di onnipotenza
Con la passione che rende amica la sofferenza
La bella vita che dura un’ora tra due infiniti
Ti vorrò bene per sempre e sempre sono minuti…


La bella vita dopo che hai perso qualsiasi appiglio
Con il sudore come un diamante sul sopracciglio
La bella vita quella che auguro ai miei amici
A chi si perde tra mille incroci
A chi la augura pure a me…

Jovanotti, La bella vita (2011)

domenica 5 giugno 2011

I Love Fitness (esageratamente)



Io e lo sport: una storia lunga.
E piuttosto complicata.
La si potrebbe paragonare a quelle storie sentimentali che nascono da un colpo di fulmine, all’improvviso: lui e lei si incontrano, si scambiano uno sguardo d’intesa e già si amano alla follia. E allora iniziano a frequentarsi ogni giorno, si assorbono completamente, finchè – sempre all’improvviso – si scoprono diversi, estranei, due ingredienti per nulla amalgamabili.
Io lo sport ho provato ad amarlo, lo giuro!
Posso affermare, senza timore di essere smentita, di aver quantomeno iniziato tutte le discipline sportive elencate dal CONI (escludendo solo le arti marziali ed il tiro con l’arco). Dalla danza al tennis, dalla ginnastica (nella doppia versione ritmica ed artistica) al nuoto, dal ping pong al calcetto (ebbene sì, ho provato anche quello).
Ma l’esperienza in palestra, beh quella è stata davvero indimenticabile! Carica e decisa come non mai, ho subito optato per l’abbonamento trimestrale e per il full immersion nella sala attrezzi (che già solo l’idea mi faceva sentire tonica). Dopo un pomeriggio intero di glutei, addominali, interno coscia e polpacci son tornata a casa che camminavo come Ufo Robot e la mattina dopo, per farmi alzare dal letto, sono dovuti intervenire i volontari del 118. 
La palestra ha segnato la fine di ogni mio tentativo di pratica sportiva.

In realtà, però, da qualche tempo nutro un certo interesse per il percorso verde.
Ci vado spesso: una bella corsetta (che, al secondo metro, si converte in “camminata veloce”), una sana boccata d’ossigeno ed uno sforzo fisico decisamente contenuto. Assolutamente perfetto!
E poi al percorso verde si incontra veramente un sacco di gente, anzi, ci sono proprio dei “frequentatori-tipo del percorso verde”. Ve li descrivo…