martedì 13 dicembre 2011

Pane, amore e fantasia


Avete presente quelle persone che mangiano senza freni e non ingrassano e se chiedi loro «Ma come fai a restare così in forma?» rispondono «I miracoli del metabolismo!»???
Ecco, io sono una di quelle persone. (Ma molto meno antipatica).
Ho con il cibo un rapporto senz’altro migliore di quello che ho con gli uomini: la scelta è più varia, se trovo quello che mi piace me lo compro e se proprio non mi va, sollevo il coperchio verde dell’umido e lo differenzio!
Al di là del piacere di assaggiare un buon piatto, ho per la cucina in generale un grande rispetto.
La considero un’arte, una forma d’espressione e, in un certo senso, un canale di distribuzione d’affetto.
Dovrebbero aggiungere una riga pure nel dizionario:
CUCINARE, verbo transitivo: «Preparare e cuocere le vivande dimostrando il proprio amore a chi le mangerà (quindi ad altri come a se stessi!)».

Penserete che ho assunto qualche sostanza stasera, ma non è così.

Vi dimostrerò che quel che dico è vero: io ho visto cucinare con amore!

Per esempio, la mia bisnonna Olinda – una donna che dai suoi quattro figli si faceva dare del “voi” – mi svegliava la domenica mattina con la crema al limone calda: ne lasciava una tazzina solo per me e utilizzava l’altra per farcire la zuppa inglese. 
Oppure il signor Ermes, cuoco di un Hotel di Riccione che frequentavo da piccola, che preparava ogni giorno un buffet chilometrico (di cui ricordo ancora il profumo, oltre che il sapore) per i suoi clienti e li serviva con un sorriso sempre vivo e mai stanco. 
E la mia nonna Mary, che quando mi invita a pranzo dice sempre che ha preparato “giusto due cosine”, le quali “cosine” però risultano inspiegabilmente distribuite in sette tegami, tre pentole, una pirofila, cinque piatti e due teglie da forno!
Ma al di là di questi casi evidenti di cucina distributrice di amore, ce ne sono altri – meno eclatanti – che tuttavia non sono da meno. 
Ad esempio, mia mamma la ciaramicola – dolce umbro tipicamente pasquale – la propone per tutto l’anno solare e non solo a Pasqua, proprio per dimostrare il suo attaccamento alla famiglia (e neanche più glie se attacca, il dolce!). 
Oppure le signore straniere che si sono avvicendate per lavoro nella mia casa e che, intenzionate a sperimentare i piatti italiani, li hanno letteralmente “testati” sulla nostra pelle, lo hanno fatto per amore dell’integrazione e dello scambio interculturale (anche se della lasagna al ragù versione ucraina avrei fatto anche a meno…).

Eppure, dopo tutto questo ragionare sulla cucina come “modo di dare”, l’unica cosa che mi viene in mente è: …qualcuno ha notizie di Suor Germana???   

giovedì 1 dicembre 2011

Ho imparato che

  • ogni lasciata è persa (e qualche volta per fortuna);
  • chi fa da sé fa per tre (ma se questi «tre» davano una mano forse «sè» faceva prima);
  • non è tutto oro quel che luccica (molto probabilmente è uno Swarovski);
  • la fortuna gira (ma la mia rotazione si inceppa spesso);
  • se un uomo dice ad una donna «sei tutta la mia vita», è possibile che sia affetto da una malattia terminale che gli lascia al massimo 6 mesi;
  • nella botte piccola c’è il vino buono (ma di sicuro non te ce ubriachi);
  • l’essenziale è invisibile agli occhi (ma occhio ai pali della luce…);
  • ogni pentola ha il suo coperchio (e con Mondial Casa ce prendi anche la mountain bike con cambio shimano)
  • la risposta è dentro di te (solo che è sbagliata, Quelo docet!).