lunedì 19 agosto 2013

Ipse Non Dixit

Gli sconfinati spazi del non detto affollano la mia vita da sempre.
E sono ciò di cui facilmente mi pento.
Mi pento di aver trattenuto in gola emozioni, opinioni, sillabe, domande, cose non capite e cose ben intese, pezzi di verità come pezzi di canzoni.
Per pudore, per paura, per prendere tempo, o anche per quell'incontenibile e ridicola serenità che a volte provo e che andrebbe urlata. Ma che resiste in pancia, senza uscire fuori.
La mia lista delle cose non dette si potrebbe stendere su un intero rotolo di carta assorbente.
E diventerebbe borfa di scusa, di ti amo, di forse ho fatto una cazzata a non accettare quel lavoro, di come sto bene con te con nessuno mai, di quasi quasi te darei fuoco, di ma perché non possiamo almeno provarci, di a Stephanie Forrester io volevo bene, di la pelle chiara è nobile un par de palle, di la storia delle affinità elettive è una grande stronzata, di io però ho affinità solo con te, di ho buttato via un sacco di tempo, di l'ho recuperato tutto in un attimo, di lo ributterò con la stessa velocità, di secondo me la felicità sta nelle piccole cose solo se quelle grandi sono finite.
Questo giochino del non detto mi è costato caro tante volte.
Me lo sento tutto nello stomaco, ha lo stesso peso specifico di una bibita gassata.
Un volume d'aria che risale su fino alla gola dove si intrecciano tutti i nodi che non ho mai sciolto.

Penso di essere nata con un autocontrollo incredibile.
Penso anche che, se non fosse stato per il medesimo self control, ora sarei una serial killer professionista.