martedì 9 ottobre 2012

L'ultima visita di WhatsApp


Che scritta così sa molto di titolo di un film drammatico in bianco e nero, dove lui scompare nella nebbia e lei resta in mezzo alla strada, sola e desolata, con il viso umido di lacrime stretto tra le mani.
E invece è semplicemente quella righetta di frase che sta sotto il tuo nome e che indica l’orario esatto in cui hai chattato per l’ultima volta.

Mi urta. L’ultima visita di WhatsApp mi urta.

Perché mi ricorda quando da piccola giocavo a nascondino e c’era sempre lo stronzetto (o la stronzetta) di turno che faceva la spia e passava l’informazione del mio nascondiglio a chi faceva la conta.

Alla fine c’è sempre qualcun altro che sa cosa fai e quando lo fai.

È probabilmente questo il dazio da pagare per essere “social”
Accettare di essere invasi.
Io posso condividere tutto, in tempo reale e senza confini. 
Tu (genericamente tu) mi rubi piccoli gesti quotidiani e li rivendi nel mercato della rete.

Post telegrafico, oggi.
Perché per essere “social” devi pure essere “short”.

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