lunedì 19 novembre 2012

Raramente parlando


Oggi ho pranzato in un posto di cui non posso svelare il nome. 
Per due ragioni.
Prima ragione: mi sa che un nome vero e proprio non ce l’ha (o io comunque non l’ho capito…).
Seconda ragione: il mio commensale sostiene che se poi la gente lo scopre, la voce gira, diventa una moda, lo piazzano su Tripadvisor, i proprietari rivedono il menu e i prezzi sulla carta, l’accoglienza calorosa si raffredda e l’attenzione premurosa che senti riservata solo a te si distribuisce distratta anche ad altri. Ragionamento macchinoso ma condivisibile.
Non vi dico il nome ma ve lo descrivo.
Pochi posti, stufa a legna, tovaglia a quadrettoni, bicchieri di vetro spesso (ve l’ho mai detto che ho una specie di fissazione semipatologica per bicchieri e tazzine da caffè?), pane caldo sfornato dalla signora in cucina, l’autunno della campagna umida intorno.
Non si raggiunge comodamente, non appaga l’occhio al primo sguardo, non vuole apparire più di quanto non è.
Questo posto mi piace come mi piace tutto ciò che è rarità.
Come la genuinità negli esseri umani, come la ferramenta ancora aperta nel centro storico, come le botteghe vintage parigine nel Marais, come il posto finestrino nei voli low cost, come quella traccia del disco che mai diventerà il singolo passato dalle radio.
Come tutta quella bellezza sofisticata che sfugge ad occhi troppo pigri e cuori poco allenati.

A proposito di non – singoli, vi segnalo questo…



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