Quando mi chiedono “Chiara, ma perché non scrivi più?”, “E il secondo libro quando lo finisci?”.
Io rispondo tendenzialmente “Mi manca il tempo”. Doris Lessing, premio Nobel
per la letteratura e scomparsa proprio ieri, diceva di essere “geneticamente
nata per scrivere”, ma evidentemente questo non è il mio caso, che di genetico
ho solo le dermatiti ereditate da mio padre. Ma non è dei miei impedimenti
psicofisici che voglio parlare.
Io voglio parlare del tempo.
Questa parolina che in cinque lettere scandisce ogni attimo
e ogni azione della nostra vita. Nel mio lavoro, ad esempio, tutto ruota
intorno al tempo: hai trenta secondi per pubblicizzare un prodotto, tre minuti
per dare le notizie, dieci per fare un’intervista.
Il tempo lo devi
controllare, lo devi occupare, ma non lo devi mai sforare.
Di tutte le
possibili prigionie umane, il tempo è quella che ha le catene più salde. Ne siamo
tutti, in un certo senso, schiavi.
Schiavi della mezz’ora di
pubblicità prima del film al cinema. Schiavi dell’attesa di un momento di
felicità. Schiavi della fretta delle ore proprio quando ci stavamo divertendo. E
tu stai lì, a subire il ritmo arbitrario delle lancette che girano. E con te,
stanno lì anche le tue sensazioni. I battiti del cuore, gli sbadigli, le
nervature irrigidite. Al tempo non gliene frega se accanto hai l’amore della
tua vita o la persona che odi di più al mondo, se sei in fila alle poste o se
hai la macchina in doppia fila.
È lui che decide se farti aspettare o se farsi
rincorrere.
Tu puoi solo sperare di avere fortuna. La fortuna di trovarti, nel
bel mezzo del suo passare, vicino alle persone migliori e con ancora in mano la
carta vincente da giocare.
Breve è la vita che viviamo davvero. Tutto il resto è tempo