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lunedì 18 novembre 2013

Faccio ancora in tempo?

Quando mi chiedono “Chiara, ma perché non scrivi più?”, “E il secondo libro quando lo finisci?”. Io rispondo tendenzialmente “Mi manca il tempo”. Doris Lessing, premio Nobel per la letteratura e scomparsa proprio ieri, diceva di essere “geneticamente nata per scrivere”, ma evidentemente questo non è il mio caso, che di genetico ho solo le dermatiti ereditate da mio padre. Ma non è dei miei impedimenti psicofisici che voglio parlare. 
Io voglio parlare del tempo
Questa parolina che in cinque lettere scandisce ogni attimo e ogni azione della nostra vita. Nel mio lavoro, ad esempio, tutto ruota intorno al tempo: hai trenta secondi per pubblicizzare un prodotto, tre minuti per dare le notizie, dieci per fare un’intervista. 
Il tempo lo devi controllare, lo devi occupare, ma non lo devi mai sforare. 
Di tutte le possibili prigionie umane, il tempo è quella che ha le catene più salde. Ne siamo tutti, in un certo senso, schiavi.
Schiavi della mezz’ora di pubblicità prima del film al cinema. Schiavi dell’attesa di un momento di felicità. Schiavi della fretta delle ore proprio quando ci stavamo divertendo. E tu stai lì, a subire il ritmo arbitrario delle lancette che girano. E con te, stanno lì anche le tue sensazioni. I battiti del cuore, gli sbadigli, le nervature irrigidite. Al tempo non gliene frega se accanto hai l’amore della tua vita o la persona che odi di più al mondo, se sei in fila alle poste o se hai la macchina in doppia fila. 
È lui che decide se farti aspettare o se farsi rincorrere. 
Tu puoi solo sperare di avere fortuna. La fortuna di trovarti, nel bel mezzo del suo passare, vicino alle persone migliori e con ancora in mano la carta vincente da giocare.

Seneca diceva: 
Breve è la vita che viviamo davvero. Tutto il resto è tempo

mercoledì 29 maggio 2013

Nove grammi di carezze



Chiara aveva nove grammi di carezze nella tasca destra dei suoi jeans. Era rientrata a casa pensando che potessero bastare. La signora delle ricette in tv ne consigliava un paio in più ma a Chiara andava bene lo stesso. La cucina non era il suo forte. La prima volta che aveva preparato un piatto il risultato era stato un disastro. Dosi sballate, superfici bruciacchiate, cattivo sapore. Ma di quelle carezze parlavano veramente bene. Dicevano che avrebbero rivoluzionato il modo di mangiare. E poi erano facili da preparare, potevano riuscirci tutti senza avere doti da grandi chef. Bastava aggiungerle a qualsiasi altro ingrediente – dolce, salato o piccante non faceva differenza – lasciarle amalgamare bene a fuoco lento et voilà. Pronte in pochi minuti. Miracolose più dell’olio. Essenziali più del sale. Ricercate più del caviale. Le carezze erano capaci di assecondare ogni palato e soddisfare il gusto di chiunque. Chiara non le aveva mai usate prima. Quel giorno al supermercato – dove le vendevano sfuse, tra il bancone dei surgelati e lo scaffale dell’acqua minerale – le aveva scelte con cura e infilate nella busta trasparente tenendo d’occhio il cartellino con il prezzo. Erano in offerta e la gente non sembrava poi così interessata. Chiara però era curiosa di provare. Un grammo alla volta, carezza dopo carezza, aveva svuotato la busta e riempito il tegame antiaderente, facendo attenzione alle istruzioni date alla tv. Aveva mescolato e posto sopra il coperchio, lasciando solo una fessura per far evaporare l’acqua di cottura. Mentre aspettava che il timer suonasse, Chiara pensava a quello che sarebbe stato, al sapore che avrebbe avuto, all’armonia dei colori che le carezze avrebbero sprigionato una volta sistemate sul piatto. E si immaginava già la foto che avrebbe scattato e condiviso in rete con le amiche. Finchè il suono impazzito del timer tagliò il filo di ogni pensiero nella mente di Chiara. Era il momento di sollevare il coperchio. Le carezze erano pronte e Chiara era impaziente. Nella scoperta di quel momento aveva riposto l’attesa di qualcosa che avrebbe cambiato la percezione dei suoi sensi. Qualcosa che l’avrebbe saziata facilmente e senza troppo sforzo. E poi “carezze”, che bel suono che aveva quel nome. Con il pollice e l’indice stretti sul pomello del coperchio, Chiara tirò su di scatto. Il vapore le rimbalzò sulle lenti degli occhiali da vista appanandole tutte. Ma riuscì a vedere lo stesso. Il fondo della pentola era completamente vuoto. Nulla, non c’era rimasto nulla. Nemmeno la più piccola sostanza della più piccola carezza. Seduta con la sguardo fisso sul piatto nudo, Chiara capì che le carezze a prezzo scontato, alla portata di tutti e assaporabili in fretta non avrebbero mai rivoluzionato il gusto del mondo.

Pubblicato sulla rivista UMBRIANOISE (N. 13)
www.umbrianoise.it 

lunedì 29 aprile 2013

Alla fine è sempre vero...



  • che lo stile è la fisionomia dello spirito (Schopenhauer)
  • che c'è chi ha i miliardi e chi miliardi di idee
  • che ciò che trascuri diventa di qualcun altro
  • che il barometro dei nostri successi è al 99% sballato
  • che tra il dire e il fare c'è di mezzo la chat di whatsapp
  • che i baci non sono mai troppi e nemmeno le carezze, gli abbracci e gli sguardi in profondità
  • che si può scegliere se vivere o tirare a campare (con un Campari, magari!)
  • che ti innamori se ti capita ma ami se ti ci dedichi
  • che chi ha il pane non ha i denti e viceversa
  • che per fare una famiglia serve un cofinanziamento, un possedimento e un conto corrente. E se poi c'è anche l'amore, ben venga!

mercoledì 3 aprile 2013

Da consumarsi preferibilmente entro



L'obsolescenza pianificata.
Ovvero quella politica strategica di non far durare in eterno i beni di consumo.
Io fabbrico un frullatore, uno smartphone, una lavatrice, una lampadina e ci imprimo una data di scadenza. Quando quella data arriva, il bell'oggetto moderno ti muore tra le mani. 
E non lo puoi riparare, no. 
Devi fiondarlo nel cestino (facendo attenzione alla differenziata) e ricomprarne uno nuovo. 
Non ci sono pezzi di ricambio (il fabbricante non li ha previsti) né mani tanto abili da poterlo accomodare.
Gioco finito. Game over.

Le logiche del mercato. La policy del consumo. 
Il ricatto dell'esistenza.

Perchè una scadenza c'è per tutto.
Per la bellezza. 
Per il latte nel frigo. 
Per la pazienza. 
Per la bolletta del gas. 
Per l'attesa. 
Per il giorno prima di oggi. 
Per il desiderio che resta pensiero senza prendere una forma.

Eppure ci si rinnova così.
Imparando dagli oggetti.
Buttandosi via e riacquistandosi ogni volta.

sabato 2 marzo 2013

Master in Taglio&Cucito



Intervisterò a breve uno dei più importanti produttori italiani di scarpe. Scarpe artigianali, di quelle che per farle servono anche seicento punti messi a mano e venti ore di manodopera. 
Una pazienza che assume sempre la forma della qualità. 
Alla fine il prodotto è bello, è resistente, è assolutamente originale ed è, per sua natura, votato al fascino che non si disperde col cambio delle mode. 
La pazienza è una grande abilità. 
Specie se unita alla passione e alla precisione. 
Anche mia nonna, che di mestiere faceva la sarta, passava notti intere sotto un piccolo cono di luce con la schiena incurvata sulla macchina da cucire. Ma di giorno i vestiti erano così belli che la fatica si nascondeva tra le pieghe della stoffa mai sgualcita. 
Ho sempre amato le cose fatte a mano perché richiedono uno sforzo in più, perché necessitano di maestria ed esperienza, perché dentro hanno amore
E la vita, spesso, io la paragono a un prodotto artigianale. 
Ottieni il meglio se scegli il tessuto migliore, se tagli il materiale in eccesso e cuci insieme le parti che devono stare legate. Se ci investi il tuo tempo, se ci affondi le mani, la testa e il talento. 
Se ci metti amore.

Solo per le misure il discorso è diverso. 
Non occorre che tu sia sarta o calzolaio. 
Quelle impari a prenderle da te, giorno dopo giorno.

sabato 23 febbraio 2013

Pochi decimi di secondo


Stavo guardando una gara di discesa libera in tv. 
Un italiano, Christof Innerhofer (dal nome non sembrerebbe ma è altoatesino doc), ha vinto a Garmisch – Partenkirchen  fermando il cronometro sul tempo di 1’37’’83
Cioè in pratica questa specie di “omino a motore” è venuto giù da una collina in poco più di un minuto e mezzo. 
La velocità che può generare un essere umano è strabiliante. 
Chiunque, anche senza avere gli sci agganciati ai piedi, può lanciarsi in discesa libera senza farsi afferrare dagli altri. 
Ci vuole concentrazione, talento e coraggio. 
Chi corre sulla propria pista, scivolando sopra i dossi e aggirando i dislivelli, ha la leggerezza della libertà e il peso della propria forza muscolare. Mentre segue la sua traiettoria, porta con sé le paure, i sentimenti, le ferite, le gioie, i desideri. 
E corre riducendo l’attrito con l’aria. 
E corre, quasi sempre, con il timore e la speranza di essere raggiunto. 
Che, a volte, per la vittoria bastano giusto la volontà e pochi decimi di secondo. 

lunedì 4 febbraio 2013

Do ut des. Anzi tieni pure!


In una giornata in cui tutti chiedono che gli venga restituito qualcosa, io pubblicamente mi propongo per dare indietro una serie di cosette di cui – francamente – sento solo il peso dell’ingombro.

Detto ciò:

  • restituisco al commerciante che IMPUNEMENTE me le ha vendute, un paio di scarpe modello sabot, color azzurro cielo, con inserto pitonato sulla punta (formidabili negli anni ’90, da denuncia oggi);
  • restituisco alla Mulino Bianco  lo spazzolino da denti elettrico e i 250 punti accumulati per averlo, perché mai riuscirà a togliermi la carie procurata dalle 250 scatole di merendine che mi son dovuta mangiare;
  • restituisco alla tv le ore che mi ha inutilmente occupato con la pubblicità dei tampax, con la cronaca dei processi a Silvio B. per i compensi alle olgettine, con l’avviso di pagamento del canone Rai, con "La pupa e il secchione" e con i servizi a manetta sui regali di Natale;
  • restituisco alla motorizzazione civile la patente B perchè è evidente che, considerando il mio stile di guida, me l’hanno data per sbaglio (e restituisco anche la fototessera con espressione da tossicodipendente ad essa allegata);
  • restituisco a Ryanair il volo di ritorno Praga-Roma, su cui ho lasciato un anno della mia vita a causa del mix “turbolenze tipo giostra Tagadà + atterraggio tipo schianto sull’asfalto”;
  • restituisco a più d’un mittente le bugie di ogni forma e colore (piccole, grandi, medie, bianche, nere, opache…), le parole d'amore senza sostanza, le promesse non mantenute, le aspettative mal riposte;
  • restituisco a Cenerentola il Principe Azzurro e io mi tengo il cavallo (tanto vedi foto sopra);
  • restituisco al calendario questo pietoso lunedì 4 febbraio e riverso ogni speranza su martedì 5!

sabato 26 gennaio 2013

2,5 Kg di arance al giorno


Oggi sono seria. Oggi vi segnalo un’iniziativa importante promossa dall'AIRC.
Si chiama “Le arance della salute”.
Visitate http://www.arancedellasalute.it/ 

Se siete in Umbria, ad esempio, le trovate in 90 piazze. Due chili e mezzo di arance (per la spremuta la mattina, per la merenda quando siete in ufficio, per allungare la cottura del pollo, per condire un’insalata agrodolce e quant'altro!) a fronte di un contributo di 9 euro.
Ve la segnalo per vari motivi: perché la neopresidente di AIRC Umbria è persona che stimo, perché AIRC finanzia la ricerca sul cancro, perché ho ascoltato le parole di un medico illuminato (una gran donna, esperta in genetica del cancro) che con voce mite ha scelto parole semplici per spiegare il lavoro che fa.
Un lavoro che coniuga nobiltà e scienza. Uno studio e una pratica quotidiana per procurare utilità a tutti: a me, a te, a chi c’è già e a chi nascerà domani.
La ricerca medica altro non è che la voglia di capire le cose. E di metterle a disposizione degli altri, senza neppure conoscerli.

E allora acquistare un sacchetto di arance, può essere un modo come un altro per dimostrare la nostra empatia con ciò che è ad un attimo da noi. 
Lo diceva anche la Vodafone: tu sei la stella e il mondo ruota intorno a te.

E permettetemi un ringraziamento.
Ai miei genitori, che hanno insegnato a me, e a mio fratello, l’attenzione e non l’indifferenza. 


martedì 1 gennaio 2013

Per chi non s'accontenta (come direbbe Rowenta)


Credo fosse l’estate del 2003.
Guidavo la mia prima macchina, di seconda mano.
Una strada terribile, non asfaltata, impervia, ripida e piena di buche. Intorno a me il nulla.
All’improvviso sul cruscotto una spia si accende. Quella dell’acqua.
“No, cazzo!! E adesso??”
L’unica cosa che potevo/dovevo fare - per evitare di far fuori il motore - era fermarmi lì, in mezzo a quella strada in salita, in mezzo al nulla.
Poi, all’improvviso, passano due amici. Tirano fuori una bottiglia d’acqua, la versano nel radiatore e la macchina è pronta per ripartire.
Sembrava impossibile ma ce l’avevamo fatta, avete presente lo spot dell’amaro Montenegro? 
U G U A L E!

Arrivo al dunque.

  • Una spia che lampeggia.
  • Un problema, un difetto, un guasto.
  • Una soluzione.
  • Una nuova ripartenza.


Questo è l’augurio che faccio a me stessa e, se volete, ad ognuno di voi, per l’anno che è appena iniziato.
Che nel bel mezzo della vita, e senza alcun preavviso, una spia si accenda per segnalarci ciò che non va, ciò che è da cambiare o da aggiustare o da invertire o da resettare.

Perché ci sia sempre qualcosa di nuovo e di meglio da desiderare.

È il bisogno che si placa, non il desiderio. 

martedì 18 dicembre 2012

Se per caso finisse il mondo...


Se per caso finisse il mondo vorrei (prima):

  1. Mangiare almeno un paio di falafel vegetarian a Paris (da King Falafel Palace, naturalmente!)
  2. Sostituire la protagonista dell’ultimo spot pubblicitario del profumo di Roccobarocco, al fine di provarci spudoratamente con ciascuno dei 4 strafighi mori seduti al tavolo
  3. Noleggiare un caterpillar e schiacciare tutte le auto parcheggiate in seconda fila, ma con le quattro frecce lampeggianti, davanti a – nell’ordine – bar, tabacchi, ricevitorie, edicole, alimentari, uffici postali, scuole primarie e secondarie
  4. Entrare “nei peggiori bar de Caracas” e scolarmi alla goccia una cassa di Pampero
  5. Andare ad un concerto di Lauryn Hill e iniziare a gridare (tipo ‘na matta) sulle prime note di Tell Him
  6. Scomporre il mio carattere come fosse un'equazione, portando dietro le parentesi, moltiplicando i pregi coi difetti e sottraendo i limiti e le ansie
  7. Fare un corso di massaggi thailandese, con un thailandese, possibilmente alto e muscoloso
  8. Imparare a baciare al di là delle labbra
  9. Alzare il braccio e parlare dopo che il prete ha ammonito “Chi è a conoscenza di qualche impedimento per il quale quest’uomo e questa donna non dovrebbero unirsi in matrimonio, parli ora o taccia per sempre” (…ma giusto così, per fa’ uno scherzo!)
  10. Non essere più preoccupata di perderti ma godermi l’occupazione di averti, giorno dopo giorno, a tempo indeterminato

 La chicca musicale sopra citata:



lunedì 10 dicembre 2012

A prima Svista


Presbiopia
Quando non vedi bene ciò che hai proprio lì, davanti agli occhi. 
È un difetto della vista. È anche un difetto della vita. 
Si corregge allontanandosi da ciò che si osserva o illuminandolo.
Da quel punto sfocato, quindi, ti puoi allontanare o ci puoi andare sopra con la luce. Oppure, puoi farlo rimanere un semplice punto sfocato. Uno dei tanti. E accontentarti di ciò che malamente appare, senza addentrarti nella sua profondità
Senza fare chiarezza. 
È una questione di distanze. E di prospettive. E di minimi sforzi. E di scelte.

Ad ognuno, le sue sviste. 

(La metafora del lunedì, ore 13.50) 

(Io comunque so' miope...) 

lunedì 22 ottobre 2012

Tre(nta) sono le cose che devo ricordarmi di dire...


Trent’anni come un puzzle che sta insieme per l’incastro dei suoi pezzi.
Pezzi appuntiti, pezzi arrotondati. Pezzi sporgenti, pezzi incavati. Pezzi destinati a stare insieme, chè da soli non servirebbero a nulla. Pezzi che sento tutti sulla mia pelle, appiccicati come l’adesivo di un cerotto. Pezzi che scivolano giù, uno dopo l’altro.

Il grembiule rosa a quadretti del primo giorno di scuola.
Io e Giulio sotto le coperte, nel lettone dei miei.
La mano ruvida di mio nonno poggiata sulla mia.
Il primo file salvato su floppy disk.
L’esame di maturità e io che non mi sono alzata finché la commissione non ha ritrovato il foglio con la mia versione di latino (perché i miei appunti valevano come l'oro!).
“Caffè Alicante” in libreria.
Mia cugina Tania in abito da sposa.
Gianna Nannini live ad Arezzo Wave.
Il foglio rosa.
Un uomo in divisa militare e il modo in cui mi ha guardata.
Il giorno in cui ho capito che non avrei fatto l’avvocato.
Il giorno in cui l’ho accettato.
Le mie “solite” amiche e la loro costanza nell’esserci.
La prima navigazione nel web.
Il viaggio di ritorno da Lecce, in treno, un agosto di qualche anno fa (cose da non ripetere più nella vita).
Gli anfibi marroni Dr Martens e la sensazione di onnipotenza sentendoli allacciati ai piedi.
I pranzi della domenica e il profumo del sugo di mia madre.
Il film “La vita è bella” e la potenza gentile che mi ha trasmesso.
Ogni città visitata, ogni strada calpestata, ogni cultura respirata, ogni viso nuovo e diverso incontrato, ogni lingua ascoltata.
Il primo doppio cheeseburger da Mc Donald’s.
Fiorella Mannoia al telefono della radio.
Le occasioni colte.
Le occasioni mancate.
La tesi di laurea rilegata e il virus intestinale il giorno prima della discussione.
Ogni primo bacio.
Ogni prima volta.
Il pane e zucchero preparato dalla nonna per curare ogni mia malattia.
Le persone che mi hanno ferito.
Il tempo che mi ha, sempre, curato.
Francesca che torna e il nostro bene che non se n’era mai andato.

Trenta.
E allora, Auguri Chiara.

martedì 9 ottobre 2012

L'ultima visita di WhatsApp


Che scritta così sa molto di titolo di un film drammatico in bianco e nero, dove lui scompare nella nebbia e lei resta in mezzo alla strada, sola e desolata, con il viso umido di lacrime stretto tra le mani.
E invece è semplicemente quella righetta di frase che sta sotto il tuo nome e che indica l’orario esatto in cui hai chattato per l’ultima volta.

Mi urta. L’ultima visita di WhatsApp mi urta.

Perché mi ricorda quando da piccola giocavo a nascondino e c’era sempre lo stronzetto (o la stronzetta) di turno che faceva la spia e passava l’informazione del mio nascondiglio a chi faceva la conta.

Alla fine c’è sempre qualcun altro che sa cosa fai e quando lo fai.

È probabilmente questo il dazio da pagare per essere “social”
Accettare di essere invasi.
Io posso condividere tutto, in tempo reale e senza confini. 
Tu (genericamente tu) mi rubi piccoli gesti quotidiani e li rivendi nel mercato della rete.

Post telegrafico, oggi.
Perché per essere “social” devi pure essere “short”.

lunedì 1 ottobre 2012

Per la vita che verrà (puntini puntini)



Ho ritrovato una vecchia foto in bianco e nero che ritrae i miei nonni da giovani, appena sposati.
La bellezza dei loro corpi vicini è disarmante.
Hanno espressioni inconsapevoli. Naturali. Imperfette. (Perché, allora, le foto si facevano per le cornici e non per il web).
Beh, li ho guardati e mi sono pentita di non avergli mai domandato (quando ne avevo la possibilità) se avevano o meno la consapevolezza che sarebbero stati insieme per tutta la vita (perché così è stato). 
Se pensavano di essere, l’uno per l’altra, la rappresentazione corporea del loro reciproco ideale di unione.
Se hanno mai vacillato, se hanno mai avuto paura, se hanno mai stretto tra le mani la felicità.

A me l’idea di un vincolo indissolubile spaventa quasi come l’affacciarmi dal sesto piano di un palazzo. 
E allo stesso modo mi spaventano gli ideali, che troppo facilmente si sgretolano e scivolano di mano. 
Eppure penso sia meraviglioso avere la capacità di amare in prospettiva
Mi fa venire in mente il gioco delle biglie che si fa sulla sabbia. Non serve imprimere forza, basta una piccola spinta con la punta delle dita e la biglia rotola, libera, lungo la sua direzione. 
Con leggerezza e con un soffio di vento a favore.

Rubo un paio di righe alla musica.

(...) Noi rimarremo insieme
Se noi ci capiremo
Se ci perdoneremo
Gli sbagli che faremo
Noi rimarremo insieme
Se avremo volontà
Se riusciremo insieme a darci libertà
E per la vita che verrà
Tu non sarai mai sola (...)
 Jovanotti, Per la vita che verrà (Album "L’albero", 1997)

E comunque, se proprio devo essere onesta, io un uomo ideale ce l'ho...è il tipo della pubblicità di "Immobildream". 
Perchè lui "non vende sogni ma solide realtà"!



giovedì 20 settembre 2012

# se # allora


Se hai in mano la tazzina del caffè bollente e sei lì lì per starnutire

Se esci di casa a metà settembre con una camicia e un cardigan leggero e ti accorgi, troppo tardi, che la temperatura è improvvisamente la stessa del 20 gennaio

Se qualcuno ti dice con aria stupita: “Mi avevi inviato un sms??? E no! Impossibile! Non mi è arrivato!” (perché si sa che gli ingegneri della Nokia, in fondo in fondo, sono degli incompetenti)

Se oggi è già domani (e fortunatamente ci sei arrivato)

Se i “disinfettati musicali” ti guardano come se avessi la peste perchè non conosci i FracazzTownBridgeOnTheBoard e canti ancora Mille giorni di te e di me di Baglioni (che troppo devono suonare i FracazzTownBridgeOnTheBoard per vendere i dischi che ha venduto Baglioni)

Se desideri rallentare il tempo perchè in quel tempo hai tutto ciò di cui hai bisogno, magari racchiuso in un corpo accanto

Se usi la parola crisi per vivacizzare le idee delle persone e non per immobilizzarle

Se accendi la tv pubblica e il top della notizia è Kate in topless

Se “La poesia non è di chi la scrive ma di chi gli serve” (e cito quel genio di Troisi ne Il Postino)

Se finalmente trovi un lavoro, uno di quelli regolari, uno di quelli in cui ti pagano con soldi veri e non con le banconote del Monopoli

Allora hai delle valide ragioni per far scivolare sulla bocca la leggerezza di un sorriso. 

venerdì 31 agosto 2012

Voglio una vita elasticizzata



Da ragazzina avevo solo certezze.
Non avrei mai calzato scarpe che non fossero Hogan. 
Avrei indossato una pesante toga nera per lavorare. 
Avrei dato fiducia solo ai politici di destra. 
Non avrei mai messo piede in una tenda da campeggio. 
Avrei guidato una station wagon Bmw nera con interni in pelle. 
Avrei sempre mantenuto il controllo delle mie convinzioni e delle mie emozioni.

Da ragazzina, insomma, gli elementi di somiglianza con “la donna bionica” erano innumerevoli.

Poi è arrivato il tempo e ha fatto tutto da sé.
Ha afferrato questa macchina perfetta di autogestione e l'ha scossa un po’. 
Rendendola imperfetta, usurata.
I freni più lenti, le valvole più aperte, i punti fermi più mossi, gli ingranaggi più sensibili.

Ho calzato scarpe acquistate in una bancarella.
Ho indossato cuffie per lavorare.
Ho condiviso qualche idea di Beppe Grillo.
Ho dormito nelle tende ghiacciate dell'Aquila ferita.
Ho guidato una Yaris grigia di seconda mano.
Ho abbandonato numerose convinzioni ed altrettante emozioni.

“La volontà di controllo genera mostri”. (L'ha detto qualcuno e io lo sottoscrivo)
Sia delle situazioni che degli esseri umani. (Mi permetto di aggiungere)

Ciò che davvero conta è il controllo della volontà.

La volontà di accettare le variazioni della vita e della propria natura.
La volontà di resistere. La volontà di lasciarsi addomesticare.
La volontà di godere di ciò che si ha, senza mai perdere l'attesa di stravolgenti novità.

Tesi e morbidi, come gli elastici.


lunedì 16 luglio 2012

Sei veramente indipendente se...



Mantieni l'autocontrollo ed eviti attacchi di panico nonostante l’assenza del benzinaio al distributore automatico

Hai acquistato un qualsiasi prodotto tecnologico e l’hai pagato “in un’unica soluzione” e non “in comode rate da 15 euro e 90”

Con l’indice di una mano tocchi l’e-book mentre con l’altro tieni il segno delle pagine di carta di un libro (vero)

Conosci almeno tre lingue, compresa quella italiana (e compreso l’uso dei congiuntivi e delle parole con l’acca)

Sai ritrovare una strada chiedendo informazioni a persone vive e non a voci metalliche pre-registrate

Hai il dono dell’ottimismo

Ti affianchi appena allo sfrecciare delle mode passeggere ma vai più veloce e le sorpassi

Non ti privi di ogni tentazione e assecondi quelle che potranno regalarti momenti di felicità

Se vuoi andare a cena fuori, sali in macchina (la tua macchina, di cui paghi bollo, carburante e assicurazione) e TI porti nel ristorante che più ti piace. Poi torni a casa (la tua casa, quella senza mutuo trentennale)

Sei consapevole che le persone che ami, le devi amare e basta (ma sempre un pochino meno di quanto ami te)

Alla coda in macchina rovente verso i luoghi di villeggiatura, preferisci la replica in tv de L’Ispettore Derrick


giovedì 21 giugno 2012

APP.unto!


Da quando ho l’iPhone non potete capire quanto mi sento moderna, giovane e al passo coi tempi.
Un passo “zoppo”, via, perché quest’aggeggio è intuitivo per tutti tranne che per me!
Ho avuto bisogno di vari tutor che facilitassero il mio apprendimento e mi guidassero nella scoperta del variegato mondo delle app.
Ed ho notato che ce ne sono alcune eccezionali ed altre veramente allucinanti (tipo quella che ti misura la febbre o quella anti panico per chi ha paura di volarecioè il passeggero può ascoltare la voce di un terapeuta e calmarsi – …words fail me!).

Ciò nonostante, io temo che alla genialità tecnologica di Apple qualcosa sia sfuggito e che non è proprio esatto lo slogan “C’è un’app per tutto”per qualcosa, infatti, non c’è.

Esempi.

Non c’è un’app per superare la prova costume senza dover rinunciare a pasta, pane, pizza, nutella e bevande gassate. 
Non c’è un’app per trasformare in tatto certi pensieri. 
Non c’è un’app per far sì che la tv si accenda da sola quando tu ti sei appena distesa sul divano e ti accorgi che pure il telecomando è ben disteso sul tavolo della cucina!
Non c’è un’app per rendere consapevoli certi soggetti che la loro presenza sulla terra non è per nulla indispensabile alla sopravvivenza della specie. 
Non c’è un’app per tonificare pancia, cosce e glutei con un semplice touch e senza neanche bisogno della tuta. 
Non c’è un’app per aumentare automaticamente le cifre del mio conto corrente alla fine di ogni mese. 
Non c’è un’app per sincronizzare l’amore di coppia: del tipo, ci amiamo entrambi - ci amiamo entrambi tanto - ci amiamo entrambi tanto e adesso. 
E, infine, non c’è un’app per far capire a tutti noi “iphone entusiasti e dipendenti”, che non sarà mai un telefono intelligente a renderci più socievoli e più connessi con il mondo ma solo la spinta racchiusa nel nostro cervello!

N.B. ora le inventeranno tutte e non me daranno neanche 1 euro di diritti...! APP.unto!

lunedì 4 giugno 2012

Earthquake (giusto un paio di riflessioni)



L'Italia trema.
L'Italia ci fa ballare. Di paura.
Secondo me l’Italia ha un cervello. E pensa.
Pensa anche lei al suo futuro incerto e si muove. Si agita. Dondola.
Solleva lo sguardo e osserva chi le salta sopra con poco rispetto. Chi la usa come fosse un bidone della spazzatura. Chi la crede resistente abbastanza da appoggiarle sopra case e fabbriche da quattro soldi. Chi la sbeffeggia alle spalle come un amico infedele. Chi impedisce che i suoi figli più giovani siano orgogliosi di lei e li costringe ad andare altrove. Chi permette che tutti, indistintamente e senza regole, la possano calpestare.
Siamo un popolo strano. Per nulla abituato ad imparare dagli errori.
Sappiamo che basterebbero piccole accortezze per evitare grandi tragedie ma a noi checcefrega? Noi ci penseremo più in là.
E voi che esagerate, che vi inventate regole e regolette, che volete prevenire, voi sì…porterete mica un po' sfiga?
Noi siamo bravi. Bravi ad arrivare un attimo dopo e quasi mai un attimo prima.
Poi però è vero, sappiamo essere efficienti e generosi.
Come noi, nessuno al mondo.
Ma sempre in ritardo. 
Più comoda la miopia che la lungimiranza.
Tanto noi, poi, facciamo le inchieste…

giovedì 17 maggio 2012

Tra il dire e il fare



Ho iniziato una brillante carriera forense.
Ho iniziato ad andare in palestra due volte a settimana.
Ho iniziato a mangiare verdure bollite eliminando insaccati e fritture.
Ho iniziato a convincermi che se un uomo ti telefona dopo le una di notte è perché è con la tua voce che si vuole addormentare.
Ho iniziato ad usare Microsoft Excel per ogni cosa.
Ho iniziato a credere che se sei leale con la gente, la gente sarà leale con te.
Ho iniziato ad ascoltare la musica rap.
Ho iniziato a mettere da parte le ansie immotivate.
Ho iniziato a cancellare dalla memoria del telefono tracce umane di chi voglio fuori dalla mia vita.
Ho iniziato ad imbustare vecchi vestiti dismessi.
Ho iniziato a controllare le mie espressioni facciali e ad evitare il mutismo ogni volta che sono scocciata.
Ho iniziato ad usare la crema autoabbronzante.
Ho iniziato a sperare che tutto ciò che desideri da una vita, lo otterrai con la pazienza.
Ho iniziato a guardare Uomini e Donne in TV.

Poi ho fatto altro.