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lunedì 3 febbraio 2014

Tre ruote... is megl che One


Da piccolina avevo un triciclo della Chicco. Mi piaceva talmente tanto che non me ne separavo mai. Ci giravo per casa, tra una stanza e l’altra, e poi fuori, in giardino. Ci accompagnavo anche mia nonna a far la spesa: lei camminava sul ciglio della strada e io con il mio super mezzo multicolor zigzagavo al suo fianco, con poco equilibrio ma sicura sul marciapiede. Ecco, il “non me ne separavo mai” di cui sopra è da intendersi nel senso più letterale del termine. Io e lui una cosa sola, h24. Ci andavo, cioè, anche a dormire. Ancora oggi, ogni volta che prendo posizione su qualcosa con la testardaggine più acuta, mia madre mi ricorda quell’episodio. Di quando – avrò avuto più o meno quattro anni – pretesi di andare a letto con lui: con il triciclo della Chicco. E nulla valse ad impedirlo. Nessun “No” e nessun grido arrabbiato della mamma a placare il mio pianto insistente, riuscirono a distogliermi dal folle proposito: dormire abbracciata - sotto le coperte calde, profumate e pulite - ad una zozza biciclettina di plastica, gomma e alluminio.
C’è un aggettivo – di origine romanesca e usato spesso nel linguaggio comune umbro – che descrive un essere capace di simili gesti: l’aggettivo è “tignoso”.
Ora, l’essere tignosi non è una bella cosa.
Non è, ad esempio, come l’essere determinati.
La determinazione è, infatti, quella virtù che ti fa perseguire con tenacia un obiettivo ma sulla base di una pianificazione lucida del percorso e di una serie di valutazioni ragionate con l’intelletto.
La tigna, al contrario, è traducibile con “Lo voglio punto e basta!”, indipendentemente da qualsiasi altra circostanza. È uno sbattere i piedi a terra per ottenere qualcosa, ma con orecchie ed occhi chiusi e, in genere, con la presunzione di avere a proprio sostegno tutte le ragioni del mondo.
Tornando all’episodio che ho appena raccontato, la piccola tignosa Chiara ha ottenuto ciò che desiderava ma puntando tutto sulla soddisfazione immediata di un impulso cerebrale. Senza ascoltare né consigli né raccomandazioni utili, senza calcolare rischi possibili, senza minimamente posare lo sguardo sulle ruotine sporche di terra e cacche dell’oggetto del suo desiderio.
Se la piccola Chiara fosse stata invece determinata, e non tignosa, avrebbe raggiunto ugualmente il suo scopo: il triciclo sarebbe stato lì, accanto al comodino, ad un millimetro da lei, visibile e a portata di carezze ma il rischio di malattie infettive, magari, l’avrebbe corso un’altra piccola tignosa nel mondo.

Perciò:
SI alla determinazione, quella che ti fa scegliere ciò che vuoi e non prendere quello che viene

NO alla “tigna” che se qualcosa ti porta è, molto probabilmente, solo una quantità pericolosa di batteri killer.  

lunedì 30 settembre 2013

Mezzo pollice verde

Le piante grasse sono, tra tutte le specie botaniche, quelle che amo di più.
In primis perché le loro forme strane mi fanno simpatia. E poi perché credo che abbiano delle caratteristiche naturali assolutamente invidiabili.
Sono nate, infatti, per resistere, per lottare e per adattarsi alle circostanze esterne.
Grazie a particolari tessuti, riescono ad immagazzinare tutta l’acqua necessaria per sopravvivere nei luoghi più avversi, quelli aridi in cui i periodi di siccità sono lunghissimi. E hanno fatto tutto da sé. Si sono – diciamo – organizzate, trasformando le foglie in spine e trasferendo la funzione clorofilliana sul fusto.
Che piante geniali. Che piante forti.
Piante capaci di sopravvivere anche senza le cure e le attenzioni dell’uomo.
Io, che più che il pollice ho forse il mignolo verde, ne ho fatte morire una decina. L'unica, credo, nella storia ad esserci riuscita.
Le piante grasse sopravvivono nei deserti del mondo e sono venute a morire a casa mia, a Ponte Pattoli!
Me ne dispiaccio infinitamente. Mi dispiace soprattutto di non aver fatto in tempo a rubar loro un po’ di quell’equilibrio sapiente che le rende capaci di affrontare anche le situazioni meno ottimali, con vigore e senza alcun lamento. 
Facendo sbocciare piccoli fiori anche tra le spine più appuntite. 

lunedì 19 agosto 2013

Ipse Non Dixit

Gli sconfinati spazi del non detto affollano la mia vita da sempre.
E sono ciò di cui facilmente mi pento.
Mi pento di aver trattenuto in gola emozioni, opinioni, sillabe, domande, cose non capite e cose ben intese, pezzi di verità come pezzi di canzoni.
Per pudore, per paura, per prendere tempo, o anche per quell'incontenibile e ridicola serenità che a volte provo e che andrebbe urlata. Ma che resiste in pancia, senza uscire fuori.
La mia lista delle cose non dette si potrebbe stendere su un intero rotolo di carta assorbente.
E diventerebbe borfa di scusa, di ti amo, di forse ho fatto una cazzata a non accettare quel lavoro, di come sto bene con te con nessuno mai, di quasi quasi te darei fuoco, di ma perché non possiamo almeno provarci, di a Stephanie Forrester io volevo bene, di la pelle chiara è nobile un par de palle, di la storia delle affinità elettive è una grande stronzata, di io però ho affinità solo con te, di ho buttato via un sacco di tempo, di l'ho recuperato tutto in un attimo, di lo ributterò con la stessa velocità, di secondo me la felicità sta nelle piccole cose solo se quelle grandi sono finite.
Questo giochino del non detto mi è costato caro tante volte.
Me lo sento tutto nello stomaco, ha lo stesso peso specifico di una bibita gassata.
Un volume d'aria che risale su fino alla gola dove si intrecciano tutti i nodi che non ho mai sciolto.

Penso di essere nata con un autocontrollo incredibile.
Penso anche che, se non fosse stato per il medesimo self control, ora sarei una serial killer professionista.


domenica 7 aprile 2013

Sfaticata

Oggi così.
Oggi il mio sforzo si limita al Ctrl c - Ctrl v
Oggi le parole me le presta Jack Kerouac, da On the road.


A quel tempo danzavano per le strade come pazzi e io li seguivo a fatica, come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi. I pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra. E tutti fanno “Oooooh!”

Che la strada sia con me. E con tutti voi.



martedì 4 dicembre 2012

Repetita iuvant?


Mi sono accorta che ci sono delle frasi che ripeto, più o meno, ogni giorno della mia vita. 
Alcune ormai escono fuori in modo quasi automatico, senza passare più per il cervello. 
Corde vocali – bocca – aria. 
Chissà, magari sono le stesse che ripetete anche voi, più o meno ogni giorno della vostra vita. 
Alcune hanno poca importanza, eppure le diciamo tante volte. 
Più di grazie, più di oggi è una bella giornata, più di ok ti perdono, più di un semplicissimo sì.

  1. chiarasantilli@, sì tutto attaccato, minuscolo e senza punti (15 volte al giorno, a chi lavora con me)
  2. Ma allora lo fai apposta? Sono in onda il lunedì alle 17.30! (1 volta a settimana, a mia madre)
  3. No (4 volte al giorno, alla rom - con il cellulare e l’estathe - che chiede la carità in centro)
  4. Ho bisogno di una taglia più piccola, per favore (15.892 volte al mese, alla commessa di Intimissimi che fatica ad accettare che, per quanto le dimensioni siano over, la circonferenza del mio torace è small)
  5. Macchiato caldo (2 volte al giorno, al barista che mi serve il caffè)
  6. Rischi il penale, lo sai? (a mio fratello diciottenne, ogni volta che aggiorna il suo stato su facebook)
  7. Eh ormai lasci, che vogliamo fa’? (2 volte a settimana, al salumiere che mi taglia 3 etti e mezzo di prosciutto contro l’unico ettogrammo da me richiesto)
  8. Sono passata a Tre perchè, in effetti, facendo l'abbonamento "un milione di minuti e dodici miliardi di sms" mi offriva la tariffa più conveniente (1 volta ogni due mesi, alla mia carta di credito, di fronte alla fattura)
  9. No grazie, stasera preferisco restare a casa (1 volta al mese, alle mie amiche – senza ciclo – che vogliono fare quattro salti in discoteca)
  10. Che la settimana è iniziata proprio di mer.... ! (a me stessa, un minuto fa)


lunedì 15 ottobre 2012

Sua Altezza, Baumgartner




È indiscutibilmente questo l’argomento del giorno.
Per 24 ore sono passati in secondo piano: il processo a Schettino, la Legge di stabilità e la presunta gravidanza di Belen.
Oggi la notizia (quella con l’articolo determinativo) plana (in senso letterale) sul record di Felix, uno con un nome che somiglia a quello di un gatto ma che ha, decisamente, un coraggio da leone.
Dunque, cosa avrebbe fatto il tizio proveniente dai monti austriaci? Nient’altro che lanciarsi nel vuoto da 39 chilometri (puoi leggere anche: t r e n t a n o v e m i l a m e t r i) appeso a un pallone di elio.
La cosa ha dello strabiliante. Non c’è dubbio.
Non solo perché il tizio, Felix, è ancora in vita (cosa per nulla scontata considerate le radiazioni, le onde d’urto e la circolazione che poteva tranquillamente fargli bollire il sangue come l’acqua prima di calare gli spaghetti) ma soprattutto perché, per la prima volta, un uomo ha infranto la barriera del suono a 57 gradi sotto zero.

Questa notizia mi piace.
Perché dimostra che le possibilità umane sono sconfinate e che le barriere sono (quasi) sempre più fragili delle menti ostinate.
Felix ha compiuto la sua impresa. Certo, ha fatto le cose “in grande”, sotto l’occhio della scienza e dei media del mondo.
Ma ogni giorno, più o meno anonimamente, milioni di altri uomini e donne compiono, anch'essi, la propria.
Alzarsi ogni mattina col sole ancora spento. Pagare un fornitore. Non lamentarsi del tempo e dei malanni di stagione. Resistere sul mercato nonostante la concorrenza cinese. Innamorarsi. Mantenere la calma. Ricordarsi a memoria il numero di una persona cara. Mettere al mondo un figlio. Affrontare la fila alle poste. Cucinare un soufflé senza farlo sgonfiare. 
Sono tutte imprese. Piccole. Grandi. Quotidiane. E di una certa utilità.
Siamo, pur sempre, umani.

Felix, dalla sua altezza, ha detto: “A volte bisogna andare veramente in alto per vedere come siamo piccoli”.


mercoledì 12 settembre 2012

Se la matematica non è un'opinione



RINUNCIO IMMEDIATAMENTE:

al 10% della mia inattitudine alla frivolezza (devota, come sono, all'infallibilità);

al 15% della sensazione rassicurante che la mia faccia "da brava ragazza" trasmette sempre, a chiunque;

al 20% di convinzione testarda che gli uomini siano come le cialde del caffè Lavazza, "A Modo Mio";

al 10% della mia educata reverenza verso il prossimo (che comporta frasi tipo: “Spero di non disturbare”, “Oh scusami tanto”, “Accidenti non volevo, quanto mi dispiace”…posto che in parecchi ancora si devono dispiacere per me);

al 30% del “generatore mentale di paranoie mascherate da problemi seri”, dislocato in qualche zona amena della mia scatola cranica;

al 10% di diplomazia nel mantenere inalterato ogni genere di rapporto interpersonale (diplomazia che mi succhia dalle arterie gran parte delle energie quotidiane).

al 5% della puntualità agli appuntamenti che tanto mi tocca sempre smanettare con il cellulare nell’attesa degli altri;

PER AVERE IN CAMBIO:

il 100% di uno sfrenato e spudorato senso del “quando-sto-bene-io-stanno-bene-tutti”. E ‘sticazzi!

(Spero solo di aver fatto bene i conti…)

lunedì 23 luglio 2012

In yogurt veritas



Sarà capitato anche a voi.
Di aprire il vasetto dello yogurt e di leccare  - ancor prima di averci affondato dentro il cucchiaio - lo strato cremoso depositato sulla pellicola di alluminio.
Io compro le confezioni di yogurt (rigorosamente nel doppio gusto frutti di bosco e cereali) solo ed esclusivamente per questa ragione.
Per quel mezzo secondo di piacere.
Così lo yogurt, con la sua pellicola da ripulire, diventa per me metafora dell’esistenza.
L’esistenza, quella fatta di piccoli piaceri istantanei lunghi quanto il tempo di portar via con la lingua lo yogurt incollato sulla pellicola.
Van via troppo veloci, porcaccia miseria.
Attimi ristretti che neppure un elastico li allungherebbe di più.
E poi ti resta il resto.
Quei 125 grammi di crema biancastra con pezzi di frutta (e centinaia di semini incastrati tra i denti). Che mai avranno lo stesso sapore di ciò che hai solo appena assaggiato.
Non siamo proprietari di niente, nemmeno della nostra felicità.

Sa un cavolo la Muller!

lunedì 16 aprile 2012

LA - GE - LO - SIA (più la scacci e più l'avrai)


Non so se vi è mai capitato di sfogliare una rivista e trovarci dentro quei test demenziali che con quattro crocette ti aiutano a capire chi sei veramente.
Ce ne sono di tutti i tipi, da quello che calcola il quoziente intellettivo a quello che misura la percentuale di affinità di coppia; da quello che scopre se dormi bene a quello che calcola il giorno esatto in cui morirai. E via dicendo…
A me, in particolare, catturano l’attenzione i test sui sentimenti umani, primo fra tutti quello sulla gelosia.
L’ultimo che ho fatto iniziava così:

Da un po’ di tempo, il tuo partner esce ogni sera senza di te, indossando il suo abito migliore e imbevuto del suo profumo più suadente. Tu cosa fai?

A) sei felice per lui e non gli chiedi neppure dove va
B) hai piacere di sapere dove va ma lasci che sia lui a dirtelo la mattina seguente
C) forse qui gatta ci cova

Ora: IO VOGLIO nome, cognome, indirizzo, codice fiscale, gruppo sanguigno e recapito telefonico dell’autore di queste opzioni!!
Qui gatta ci cova????? … Forse?????
Ma a ‘sto fetente di partner gli devi dare una bastonata intercostale appena rientra dalla seratina!!! Altro che “felicità per lui”…!!

Roba da matti…

E il fatto è che la gente – me compresa – ci spreca pure l’inchiostro della penna per barrare la casella! La gelosia non è mica un quiz a crocette, Santo Cielo!
La gelosia – come cantavano giustamente i “Dirotta su Cuba” – è come la pazzia, vive di fantasia e non ti fa più dormire…uououoooo….

Io, per esempio, sono notoriamente gelosa. Di persone e cose indistintamente.
Gelosa di tutto ciò che considero riservato per me.
Dell’amore del momento e di qualche amore passato, di un vestito che mi piace, delle attenzioni dei miei amici più importanti, dei miei spazi radiofonici, di un complimento mancato, della mia borsa Tod’s arancione con manico in pelle.
E non c’è una gelosia buona e una cattiva.
E non è vero che la gelosia è sintomo di insicurezza o di troppo amore.
La gelosia è come uno specchio: è il riflesso del nostro benessere.
È la difesa tenace di noi stessi.  
Sono gelosa di te perché tengo a me.

Morale di questo post, dedicato a tutte le povere vittime del mio possessivo attaccamento, è:
“Se non puoi convincerli…confondili”
Confucio

martedì 13 dicembre 2011

Pane, amore e fantasia


Avete presente quelle persone che mangiano senza freni e non ingrassano e se chiedi loro «Ma come fai a restare così in forma?» rispondono «I miracoli del metabolismo!»???
Ecco, io sono una di quelle persone. (Ma molto meno antipatica).
Ho con il cibo un rapporto senz’altro migliore di quello che ho con gli uomini: la scelta è più varia, se trovo quello che mi piace me lo compro e se proprio non mi va, sollevo il coperchio verde dell’umido e lo differenzio!
Al di là del piacere di assaggiare un buon piatto, ho per la cucina in generale un grande rispetto.
La considero un’arte, una forma d’espressione e, in un certo senso, un canale di distribuzione d’affetto.
Dovrebbero aggiungere una riga pure nel dizionario:
CUCINARE, verbo transitivo: «Preparare e cuocere le vivande dimostrando il proprio amore a chi le mangerà (quindi ad altri come a se stessi!)».

Penserete che ho assunto qualche sostanza stasera, ma non è così.

Vi dimostrerò che quel che dico è vero: io ho visto cucinare con amore!

Per esempio, la mia bisnonna Olinda – una donna che dai suoi quattro figli si faceva dare del “voi” – mi svegliava la domenica mattina con la crema al limone calda: ne lasciava una tazzina solo per me e utilizzava l’altra per farcire la zuppa inglese. 
Oppure il signor Ermes, cuoco di un Hotel di Riccione che frequentavo da piccola, che preparava ogni giorno un buffet chilometrico (di cui ricordo ancora il profumo, oltre che il sapore) per i suoi clienti e li serviva con un sorriso sempre vivo e mai stanco. 
E la mia nonna Mary, che quando mi invita a pranzo dice sempre che ha preparato “giusto due cosine”, le quali “cosine” però risultano inspiegabilmente distribuite in sette tegami, tre pentole, una pirofila, cinque piatti e due teglie da forno!
Ma al di là di questi casi evidenti di cucina distributrice di amore, ce ne sono altri – meno eclatanti – che tuttavia non sono da meno. 
Ad esempio, mia mamma la ciaramicola – dolce umbro tipicamente pasquale – la propone per tutto l’anno solare e non solo a Pasqua, proprio per dimostrare il suo attaccamento alla famiglia (e neanche più glie se attacca, il dolce!). 
Oppure le signore straniere che si sono avvicendate per lavoro nella mia casa e che, intenzionate a sperimentare i piatti italiani, li hanno letteralmente “testati” sulla nostra pelle, lo hanno fatto per amore dell’integrazione e dello scambio interculturale (anche se della lasagna al ragù versione ucraina avrei fatto anche a meno…).

Eppure, dopo tutto questo ragionare sulla cucina come “modo di dare”, l’unica cosa che mi viene in mente è: …qualcuno ha notizie di Suor Germana???   

venerdì 18 novembre 2011

I sogni son desideri (...ma siamo proprio sicuri?)




Ogni mio post, cari lettori, nasce da un riscontro reale pari al 100%.
Della serie, non c’è trucco non c’è inganno, credete a tutto ciò che trovate scritto qui!
Oggi parlerò di sogni.
I MIEI, naturalmente, che meritano di essere divulgati pubblicamente per la loro assurdità e che, per la medesima ragione, meriterebbero ancor di più di essere analizzati (da un medico BRAVO!).
Il primo sogno che vi racconterò è fresco fresco, partorito nella notte appena trascorsa.
Oggetto: lite spaventosa tra me e mio fratello Giulio.
Ora, tali tipologie di liti (spaventose, appunto) avvengono con cadenza quasi quotidiana. Ragion per cui ho avuto serie difficoltà ad accettare l’idea che fosse un sogno e non la realtà. L’ho capito però (obbligatoriamente) nel momento in cui ho provato una strana e crescente sensazione di dolore…
Infatti, nell’astrattezza dell’onirica dimensione, Giulio aveva pensato bene di sottrarmi il computer portatile (che oltre ai programmi di Microsoft, contiene TUTTA LA MIA VITA) e di incastrarlo in una fessura stretta e incurvata. Il computer, di conseguenza, aveva assunto una forma simile ad una banana e, naturalmente, aveva smesso di funzionare.
Io, evidentemente, non ho reagito bene ed ho iniziato ad urlare come Rocky Balboa quando grida Adrianaaaaaaaaaaaa e, al tempo stesso, ho pure iniziato a picchiarlo.
Ma la realtà prevale sempre sui sogni.
E l’ho capito quando ho visto (seppur con le palpebre ancora un po’ abbassate) che ciò contro cui stava sbattendo la mia mano non aveva esattamente la forma di mio fratello ma piuttosto quella del comodino accanto al letto (ed era pure di noce e con pericolosi spigoli appuntiti!).
(Comunque sia chiaro che Giulio le prende lo stesso, per principio. Per avermi disturbata anche nel sonno!).

martedì 27 settembre 2011

L'importante è la salute!



Si chiama RNA. È il virus che genera l’influenza e che ha già costretto a letto circa 60.000 italiani. Non per manie di protagonismo ma la numero 59.999 sarei io, modestamente!

Crescendo (nota bene: “crescendo” e non “invecchiando”), ho capito di essere particolarmente simpatica alle malattie infettive, quelle cioè che basta una stretta di mano o un colpo di tosse di uno sconosciuto che zac, ti si attaccano addosso come le figurine sull’album dei calciatori!
E pensare che in 13 anni di scuola dell’obbligo, sarò rimasta a casa con la febbre sì e no 3 volte (naturalmente le volte in questione cadevano o in giorni festivi, o di vacanza o di “scuola chiusa causa neve”…).
Da qualche anno a questa parte, invece, se il mio organismo incontra un virus non si difende ma anzi ci fa amicizia, lo ospita piacevolmente! E mi pare quasi di vederlo mentre fa accomodare le particelle “in casa” e un po’ ne sistema lungo il tratto respiratorio, altre nei muscoli, altre ancora nella testa.
E tutti felici e contenti mentre io mi imbottisco di pasticche, inalo spray di ogni genere e consumo chilometri di fazzolettini per il naso.
Senza considerare che io – mi devasta doverlo ammettere – quando sono malata assumo il comportamento tipico di un uomo: espressione sofferente da cane bastonato, allarmismo da linea del termometro sopra i 37.2°, capacità di movimento limitata ai passaggi fondamentali “letto-comodino-divano e divano-comodino-letto”.

Nonostante lo scenario apocalittico, devo riconoscere però che restare a letto con la febbre ha anche qualche piccolo vantaggio…
Innanzitutto ci si riposa e poi, grazie alla compagnia fedele della TV, si acquisiscono nozioni di importanza quasi “vitale”: dal prezzo delle melanzane al modo migliore per cucinare lo stoccafisso; dalla situazione sentimentale di Ridge Forrester a quella di Valeria Marini e Gabriel Garko; dalla lite tra condomini di Forum alle più acute teorie degli opinionisti prestati alla criminologia sui principali casi di cronaca nera. E via dicendo…

Tutto ciò premesso, una domanda sorge spontanea: se io sono già a terra a fine settembre a causa di una banalissima forma parainfluenzale, come starò tra un paio di mesi quando dall’emisfero sud arriveranno (in vacanza) i virus dell’influenza quella VERA???

(L’Elisina ha già risposto: fa’ ‘n saltino a Lourdes, cocca mia!)

giovedì 15 settembre 2011

Secondo banco, fila centrale



Sarà che è da poco ricominciata la scuola (non per me ma per migliaia di studenti italiani), sarà che stamattina ho casualmente incontrato una mia ex professoressa del liceo classico (che non vedevo da anni e che – temo – mi abbia confusa con una dello scientifico), sarà qualcos’altro ma io, oggi, avverto una certa nostalgia del passato…

E allora “posto” sul blog (senti che slang!!).

Per molte persone (ormai adulte) i ricordi scolastici sono tutt’altro che “bei ricordi”: sono, anzi, esperienze traumatiche con tendenza a divenire incubi notturni ricorrenti (la psicologia è dentro di me).

Al contrario, se io potessi, tornerei volentieri a sedermi in quel secondo banco, fila centrale, del liceo Annibale Mariotti (posizione che consiglio alle nuove leve: né troppo in vista né troppo nascosta, ti protegge da qualsiasi interrogazione). 
Ammetto di essere stata una studentessa “quasi modello”: facevo sempre i compiti, seguivo le lezioni, nessuna “salina” e raramente aderivo a scioperi o manifestazioni (una sorta di Vice Ministro dell’Istruzione!). E i miei compagni altrettanto bravi!
Però mi divertivo!
Mi divertivo a fare le imitazioni direttamente dalla cattedra (credo nessun professore, allievo, bidello, supplente sia riuscito a sfuggirmi); mi divertivo a rubare il panino super-farcito di Matteo (che batteva il mio pacchetto di crackers 10 a 0); mi divertivo a scrivere frasi sulla vita, sull’amicizia e sui ragazzi nel diario di Francesca (la mia compagna di banco & migliore amica); mi divertivo a dare nozioni geopolitiche su Ponte Pattoli ai miei compagni “di città” (es. anche noi prima o poi avremo un sindaco e un presidente di Provincia; anche noi prima o poi avremo centri commerciali e catene d’albergo; anche noi prima o poi diventeremo una super potenza economica mondiale ecc...).

Insomma, sarà che avevo capito che la scuola non è un obbligo ma un regalo per giovani fortunati e l’anticamera delle responsabilità, ma sta di fatto che a me un pochino manca e qualche mattina, anche solo per sbaglio, quel portone altissimo del liceo Mariotti vorrei proprio superarlo.

martedì 6 settembre 2011

Quando la lampadina NON si accende...



CONCETTO DI PARTENZA: l’intuito è uno dei più bei regali che la natura possa fare ad un essere umano. Con l’intuito puoi prevedere la realtà un attimo prima del suo verificarsi, puoi elaborare più velocemente i dati a tua disposizione ed avere maggiori possibilità  di prendere la decisione giusta anziché quella sbagliata.
In parole povere: con l’intuito capisci prima e capisci (quasi sempre) bene.

CONCETTO INTERMEDIO: io non sono una persona particolarmente intuitiva.

È mia abitudine giustificare ogni affermazione attraverso esempi probanti (del resto, sono o non sono avvocato?!)

Primo esempio: il super regalo.
(Anni fa) Natale in arrivo e qualche indizio trapelato dalla bocca di papà…
I dati a mia disposizione erano: “ti sarà molto utile; l’ho ordinato con largo anticipo; ci si sta in due al massimo; mi ringrazierai tantissimo”.
Facile, mi son detta, è la Smart!!!
Non esattamente!
Il super regalo paterno era una fantastica trapunta matrimoniale in piuma d’oca 100% con doppia cucitura ai bordi!
Secondo esempio: la super proposta.
Domenica invernale con il solito gruppo di amici…
I dati a mia disposizione erano: “Si va tutti sulla neve per una ciaspolata in compagnia; costa solo 15 euro; baita già prenotata”.
Ho fatto due+due e, mi son detta, vuoi vedere che ‘ste ciaspole si mangiano? E me le immaginavo a forma di ciambella, con un po’ di uvetta e ricoperte di zucchero a velo…Ottimo, per 15 euro conviene pure!!
Non esattamente!
Mi son ritrovata in cima ad un monte, affondata nella neve fresca, con racchette ai piedi e bastoni in mano (e senza ciambelle naturalmente)!
Terzo esempio: il super uomo.
Ahimè, situazione capitata più d’una volta…
I dati a mia disposizione erano: “Apparentemente dotato di cervello (che già un minimo dubbio ti dovrebbe venire); capace di formulare un discorso in lingua italiana; divertente ed estroverso”.
Wow, mi son detta, vuoi vedere che ho trovato marito??!!
Non esattamente!
Il super uomo è già il marito di qualcun’altra che “si è svegliata” un attimino prima di me!

CONCETTO FINALE: se pensi - come me - che per allenare l’intuito sia necessario chiudersi in casa a guardare tutte (ma proprio tutte) le puntate di CSI e Jessica Fletcher, ti sbagli.
Spegni la TV e fatti una passeggiata…

lunedì 22 agosto 2011

Io, genio incompreso dell'Hi-Tech



Io e la tecnologia: una cosa sola.
Nel senso: o io o la tecnologia.
Chiariamo subito, si tratta solo di piccole incomprensioni, di minimi fraintendimenti. Nulla che faccia anche solo lontanamente ipotizzare che io possa essere una FRANA TOTALE con computer, telefoni, fotocamere et similia.
Semplicemente, a volte non ci capiamo, non usiamo gli stessi codici.
In fondo io sono nata negli anni ‘80, quando il top del top della tecnologia poteva essere rappresentato da un paio di walkie talkie o – a voler esagerare – dalla Villa di Barbie con ascensore interno!! 
Ora, invece, la nostra vita è delicatamente appesa ad un filo virtuale chiamato internet, raggomitolato dentro una scatoletta chiamata computer: la posta si spedisce con un click del mouse; il lavoro si misura in giga; le malattie si curano con google; le foto si raccolgono nei social-album; le strade si percorrono grazie all’App dell’IPhone; i libri si leggono dal tablet eccetera eccetera.
È un problema di linguaggio, tutto qua!
Se, per esempio, mi dicono “Il tuo pc ha un brutto virus”, io mi sento legittimata a pensare che accenderlo sia particolarmente rischioso (considerato che io sono pure abbastanza cagionevole!). Oppure, se mi dicono “Tu con che motore navighi: Google o Yahoo?”, io mi sento legittimata a pensare che senza ‘no straccio di barca oggi non sei veramente nessuno!
E allora mi son dovuta adeguare. Ho cestinato penne, agende, rubriche e fogli di carta (esiste ancora questo arcaico materiale???) ed inserito tutto nel mio modernissimo smartphone!

C’è un solo problema…l’ho perso!




mercoledì 10 agosto 2011

Chiamate pure il WWF




Ferma al semaforo.
Davanti a me una piccola utilitaria. Sul vetro del lunotto posteriore un adesivo bello grande con scritto “CANE A BORDO”.

Io ‘ste cose ‘n le concepisco (lo scrivo in perugino per esprimere meglio il disappunto).

Sia chiaro, non che io abbia qualcosa contro gli animali (ho avuto uno dei cani più intelligenti del pianeta e l’ho amato quasi come un figlio).
Io ce l’ho piuttosto con le esagerazioni di certi padroni.
Già mi pare eccessiva la scritta “bimbo a bordo”, figuriamoci quella riferita alla neonata bestiolina.
Io fatico proprio ad afferrarne il senso.
In sostanza, è come dire agli automobilisti: “fate attenzione alle auto con bimbo o cane, ma se ne incrociate una con dentro un tipo di sana e robusta costituzione… ingranate la quinta ed abbattetela, come se foste sulle macchinine del Getton Box!”
Ecco, io scommetto che ad un cane l’idea degli adesivi “on board” non sarebbe mai venuta in mente!

Sicuramente non al mio, che in testa aveva tutt’altri pensieri…

Pur essendo femmina (ce ne siamo accorti solo quando ha generato un bel quartetto di cuccioli), il mio cane si chiamava “Rischio” (il perché di questa triste scelta resta ancora un mistero).
Magra come uno stecchino, con il pelo nero, qualche macchia bianca ed il muso appuntito: insomma, bruttina ma simpatica!
Ebbene, dopo anni di coccole, crocchette e costose lozioni anti-zecche, Rischio (la meticcia)  si è presa una super cotta per un pastore maremmano e con lui se n’è andata. 
Senza più fare ritorno!

E questo non è un cane intelligente???
Di più!  È da guinnes dei primati!
Rischio è, infatti, il primo cane al mondo che abbandona la propria padrona per amore!


lunedì 1 agosto 2011

BE DIFFERENT (o quantomeno provaci)




Questo post nasce da alcune riflessioni notturne. 
Le più pericolose in assoluto!
Lo scrive anche la Mazzantini nel suo ultimo libro: “...la notte è la notte e il giorno è il giorno”.
Dunque, a sole ormai calato, mi son ritrovata a pensare a me, al mio essere – da sempre – un soggetto un po’ particolare. Un soggetto allergico alle omologazioni, al “così fan tutti quindi anch’io”, al “piace a loro quindi anche a me”.
Io mi sono sempre dovuta distinguere, non per essere migliore o peggiore degli altri né per suscitare paragoni, ma più semplicemente per sentirmi comoda in quello che ero. E in quello che sono.
Come si fa con una mappa, ho individuato e barrato con una x i punti deboli del mio fisico e del mio carattere ed ho iniziato a lavorarci sopra, con pazienza e precisione, come fanno gli artigiani.
Per gli altri erano “difetti”, per me “caratteristiche”.
Per gli altri andavano “eliminati”, per me “valorizzati”.
Dunque ho iniziato così, trasformando i miei punti deboli in punti di forza, trovandone gli aspetti positivi, rendendoli fonte preziosa di opportunità, cogliendone solo ed esclusivamente i numerosissimi vantaggi

lunedì 11 luglio 2011

A A Abbronzatissima!


Io ho un nemico: il sole.
L’ho scoperto che ero piccolissima, quando d’estate andavo al mare con mia mamma ed il principale obiettivo era trovare un cono d’ombra per me, sotto il quale piazzarmi per procedere ad una operazione mirata di camuffamento/mimetizzazione della mia persona (in stile forze speciali americane prima delle missioni).
Ebbene - una volta raggiunto l’ombrellone - mentre la sottoscritta veniva sottoposta al primo strato di crema solare, tutti gli altri bimbi avevano già scavato tunnel paragonabili al Traforo del Monte Bianco, realizzato piste per le biglie da far invidia all’autodromo di Monza ed avevano anche fatto un paio di tuffi in mare.
Al mio secondo strato di crema solare, gli stessi bimbi avevano già fatto merenda con i gelati del carrettino ambulante, si erano già asciugati pelle e capelli ed avevano pure acquistato i braccialetti colorati della fortuna.
Al mio terzo strato di crema solare, i medesimi bimbi erano già pronti per tornare nelle piscine dei loro hotel.
Io, in compenso, somigliante più ad una scaloppina infarinata che ad un essere umano, ero pronta per giocare…da sola!
Tuttavia, il mio carnato pallido (cadaverico, a voler essere proprio onesta) è sempre stato al centro dell’attenzione della gente: oggetto di battute, prese in giro, storie divertenti che si ripetono con precisione algebrica ogni estate.
Ed io non mi offendo, anzi, mi concedo volentieri perché in fondo mi sento pure un pochino utile alla collettività. 
Lo dimostrerò con alcuni rapidi esempi:
  • il mio braccio è ormai un punto di riferimento per il controllo del livello di abbronzatura altrui;
  • il colore della mia pelle è motivo di profondo sollievo per chi in vacanza becca la pioggia e non può esporsi al sole (vedi, lei nonostante tutto è più bianca di me…);
  • quando mi scotto tutti possono ridere a crepapelle e tentare di indovinare il numero esatto di punture al cortisone che dovrò fare;
  • il mio carnato, unito alla mia chioma rossa, consente a molti di ripassare la geografia (almeno un milione di volte, alla domanda “Hai origini scandinave?” ho dovuto rispondere “No, nata e cresciuta a Ponte Pattoli!”).

Ciò nonostante - ed incurante delle frasi allarmanti che mi sento ripetere sin da bambina (il sole ti fa male, con te è cattivo, devi stare attenta, devi proteggerti eccetera eccetera) - io del sole non ho affatto paura, ed anzi, cerco in ogni modo di dimostrargli il mio affetto e la mia totale devozione.
Mi è capitato, ad esempio, di arrivare in Sardegna sotto il sole africano di mezzogiorno con una protezione n. 6 (rischiando un'ustione di secondo grado e l’arrivo dei vigili del fuoco per spegnermi); oppure di decidere - in modo del tutto arbitrario – di eliminare completamente la crema in certe parti del corpo chè tanto lì il sole mi schiva (parti che, naturalmente, la sera stessa sono color fucsia tendende all’esplosione…con un effetto estetico davvero eccezionale).

Ma non importa, io non mi arrendo!
Anche in questa estate 2011 sarò in prima linea sotto il sole, con il mio telo a strisce, il due pezzi nuovo, lo spruzzino dell’acqua, un buon libro da leggere…e sicuramente pioverà!

martedì 21 giugno 2011

Orientamento sì, ma in che senso?



Orientamento: insieme delle tecniche che permettono di riconoscere la propria posizione relativa all’interno di un terreno non noto, in genere individuando la direzione del Nord (così Wikipedia).

Dunque si tratta di un’arte, di una vera e propria abilità, qualcosa che non si improvvisa ma che si apprende e si approfondisce con l’esperienza. E poi il concetto di orientamento è assolutamente versatile, adattabile ad un numero esagerato di contesti.
Ci si può orientare (o non orientare) al centro di una piazza, tra le vie di una città, nel bel mezzo di un incrocio, nel mare aperto o in cima ad una montagna. 
Ci si può orientare (o non orientare) nella scelta di un regalo, nella stima di un prezzo, nella valutazione di una persona, nel calcolare un peso o una distanza.
Insomma, ci si può orientare (o non orientare) nella vita in generale.

Scrivere questo post perché?

First of all, perché l’ho promesso alla mia “socia in affari/serate/viaggi/pranzi&cene Silvietta” dopo che – per l’ennesima volta – ci siamo perse con la sua “simil Ferrari” (una Fiat 500 che spinge più del Freccia Rossa): se esistesse un master di primo livello sulle tecniche dell’orientamento stradale, io e lei saremmo tra le prime iscritte ed avremmo pure diritto ad una borsa di studio.
Secondly, perché da un po’ di tempo a questa parte, nella mia vita son successe cose strane, inaspettate e tali da spostare più di un confine sulla cartina topografica della mia esistenza. Per capirci: è come se per anni avessi condotto ogni mio movimento con una bussola in mano e poi, all’improvviso, questa bussola si fosse rotta. 
A quel punto cosa fai: o smetti di camminare o cominci ad esplorare.
Ho scelto di esplorare, grazie a Dio.
E da allora ho spesso confuso il nord con il sud, ho imboccato qualche strada sconnessa e mal ridotta, ho inciampato in un paio di buche e smarrito qualche oggetto importante.
Da allora, però, ho incontrato persone che mai avrei cercato ed ottenuto cose che mai avrei pensato.
In questo orientamento privo di senso ho scoperto che perdersi non è niente male e che le dimensioni reali delle cose belle sono, quasi sempre, fuori dai nostri piani e dalle nostre mappe.

In fondo lo prevede anche Totti  nella pubblicità della Vodafone: Ognuno troverà la sua strada...

venerdì 27 maggio 2011

Il Top del Top del meglio

E dopo aver passato in rassegna le cose che proprio non tollero, mi soffermerò brevemente su quelle che, invece, amo alla follia.

Ecco, dunque, la mia personalissima Top Fifteen delle cose per cui ringrazio di essere stata creata.
L’ordine – anche stavolta – è puramente casuale…